Blexbolex, Vacanze, orecchio acerbo, 2018


BBB Consiglia | Maggio 2018

La fine dell’estate e delle vacanze. Lunghe giornate di sole e temporali improvvisi. Un nonno che accoglie, nella casa in cui vive con la nipote, un elefantino in visita. Un rapporto, quello tra la bambina e l’animale, fatto di giochi e dispetti, di passeggiate in campagna, di sagre e falò, che nonostante le premesse idilliache non sembra trovare mai un equilibrio, a causa delle reciproche gelosie. Poche righe di trama che dicono tutto ma forse non dicono niente dell’opera di Blexbolex, che è soprattutto una raffinata riflessione sulla narrazione visiva, che mette alla prova i linguaggi situandosi a cavallo tra albo illustrato e fumetto (senza parole), in cui perdersi seguendo i personaggi e immergendosi in paesaggi luminosi e magici. Un libro necessario per chiunque voglia interrogarsi sul racconto attraverso le immagini, su come la sequenza, cioè il tempo, possa vivere su carta solo grazie allo spazio e, non è banale sottolinearlo, all’interazione del lettore, chiamato più che mai in causa per ricostruire sensi di lettura e interpretare il finale sospeso.

Per approfondire


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Selezione a cura di Banana Oil


Dans le jardin, di Irene Penazzi
2018, Maison Eliza

Se ti è piaciuto Vacanze di Blexbolex per il suo raccontare per immagini, per il suo muoversi sul confine tra fumetto e albo illustrato, allora ti piacerà di certo anche Dans le jardin di Irene Penazzi, anche se è molto più albo illustrato di quanto non sia Vacanze.

Anche qui troviamo, in un libro senza parole che quindi può esser letto nell’edizione francese, una storia d’infanzia, di bambini che giocano e danno libero sfogo alla fantasia. Il regno dell’autrice e dei suoi fratelli è il giardino, idilliaco luogo dove trascorrere le giornate ad affastellare foglie, costruire fortini, mangiare ciliegie dagli alberi, giocare con gli amici animali, cuocere lumache (!) su un falò imbastito dentro un mattone forato.

Fra tavole immersive riempite di un’infinità di dettagli – con quel fare tipico della memoria che poco alla volta completa il quadro al ritmo di “Ah sì! C’era anche quello!” –  e immagini viceversa sospese nel bianco di un ricordo isolato, Irene Penazzi racconta di tre ragazzini che passano il tempo in un giardino bellissimo, pieno di verde e di uccellini, con un gatto e una palla rossa e perfino un triceratopo giocattolo, nel quale vivere lo scorrere delle stagioni a contatto con una natura benevola. Apriamo l’albo ed è primavera, si respira immediatamente un’aria di giocosa serenità e vorremmo anche noi lettori tornare bambini e accedere a quel giardino straordinario. Poi passa il tempo, si fa estate e i giochi cambiano, si possono catturar le lucciole di notte, poi arriva l’autunno e cadono le foglie. E quando comincia ad arrivare il freddo, in questo scorrere delle stagioni che nel libro sembra durare una giornata, perché si sa che da bambini il tempo vola, è tempo di riporre tutto e di tornare dentro casa. Appena in tempo per l’arrivo di una nuova primavera.

Krokodilstaden, di Knut Larsson
2006, Kartago Förlag

Per rimanere sulla linea tra fumetto e albo illustrato, ma andando in una direzione più oscura e tormentata, potrebbe piacerti Krokodilstaden dello svedese Knut Larsson. Anche in questo caso un libro senza parole, che annulla il problema della lingua e apre la strada all’edizione originale.

Krokodilstaden è una storia di marinai e pescatori, ambientata in un mondo futuro dove il livello del mare è salito al punto che quelle che una volta erano strade ora sono vie da percorrere in gommone, entrando nei bar da aperture sui muri alla stessa altezza dell’acqua. In questa strana umida realtà post apocalittica, tutto ruota attorno ai coccodrilli, che vengono pescati e mangiati, usati per sonore scazzottate nelle bische clandestine e addirittura venerati da mistiche tribù che vivono nel bayou.

È una storia di perdita e di innamoramento, di ricerca di una nuova stabilità in un mondo che per il protagonista è rovinato e sporco, sia dentro che fuori. Ma più che una storia, Krokodilstaden (letteralmente “la città dei coccodrilli”) è un viaggio in un universo stranissimo, rotto ma a suo modo conturbante. Un universo che siamo chiamati a ricostruire a partire da pochi dettagli: lo squallore da un brutto spettacolo di burlesque, la pericolosità da un uncino o una gamba di legno, la precarietà dai rettili che abitano le acque, il rimpianto di un passato che non c’è più dai fantasmi che infestano ogni angolo. E a ogni giro pagina, a ogni lettura successiva, siamo trascinati sempre più a fondo in questa stramba, ma sensuale, realtà.

 

Il viaggio, di Yuichi Yokoyama
2011, Canicola Edizioni

Ultimo fumetto muto per questo mese, promesso. Ma se ti è piaciuto Vacanze per la sua regia, per il modo sempre mutevole in cui Blexbolex imposta la pagina per seguire lo svolgersi della narrazione, allora leggi anche Il viaggio di Yuichi Yokoyama. Ah! E poi anche in Vacanze c’è un treno, altro punto in comune.

Nel fumetto, futurista e surreale allo stesso tempo, di Yokoyama il lettore segue quattro ignoti personaggi nel loro viaggio in treno, dalla stazione fino all’imperscrutabile meta. Anche qui non ci sono parole ad accompagnare gli eventi, e soprattutto non ci sono parole a impostare una gerarchia d’informazioni che permetta al lettore di orientarsi attraverso le pagine. Al contrario, siccome nessun dettaglio pare essere più importante degli altri, tutti i dettagli sono ugualmente importanti. Così ci si trova davanti a un flusso di informazioni stordente e intensissimo, con l’autore che sembra sfidarci a ricomporre il quadro di una narrazione al cardiopalma. O magari no? Magari non sta accadendo nulla, le vignette sono singole finestre sul mondo, e la tensione che percepiamo è lì per sviarci.

Di certo Il viaggio spinge sull’acceleratore del linguaggio fumetto per proporre qualcosa di diverso, una narrazione al contempo asettica ed emozionante in cui ogni fantasia di tessuto, ogni piccolo gesto, ogni istante di paesaggio che scorre fuori dal finestrino riesce a esistere come momento fugace e istantanea congelata nel tempo, in una tensione infinita che non arriverà mai al rilassamento.

 

Gli occhi del gatto, di Moebius e Alejandro Jodorowsky
2013, Magic Press

Restando sul confine tra linguaggi, che ormai siamo comodi, cominciamo a reintrodurre il testo. Gli occhi del gatto è uno dei libri più trascurati dell’ opera fantascientifica di Jodorowsky e Moebius. Difficile dire quanto questo titolo sia realmente collegato alle saghe dell’Incal o dei Metabaroni, ma anche qui si respira la stessa aria di misticismo futuribile tipica del lavoro di questa strana coppia.

Gli occhi del gatto è uno strano fumetto. Un racconto brevissimo in cui non ci sono vignette, la composizione della tavola mostra sempre una singola immagine: grande splash page a destra, riquadro alto e stretto ad inquadratura fissa a sinistra, per tutto il volume. Le poche didascalie non ci permettono di capire cosa sta accadendo fino alle ultimissime pagine del racconto, ma la tensione ci trascina pagina dopo pagina in un serratissimo montaggio di campi e controcampi: figura umana che osserva fuori dalla finestra, gatto che scarabattola diffidente per i vicoli, figura umana, rapace che vola, figura umana, picchiata, figura umana, il gatto è spacciato, figura umana, ma che fa il rapace con gli occhi del gatto?, figura umana… È un racconto minimale, fatto di istantanee. Come osservare il mondo attraverso i lampi di una lentissima luce stroboscopica, che seleziona pochi istanti e parcellizza lo scorrere del tempo. D’altro canto, è questo che sono le vignette di un fumetto: fotografie di un istante giustapposte affinché il lettore riempia il bianco tra l’una e l’altra con rapporti causa-effetto e azioni mai inquadrate ma comunque presenti. Qui il meccanismo è lo stesso, solo più lento e regolare e, nonostante questo, più misterioso.

 

Longshot Comics, di Shane Simmons
3 voll. 2007-2017, ProGlo

E ora, qualcosa di completamente diverso. Se Vacanze ti è piaciuto e vorresti qualcos’altro che gioca coi confini del linguaggio, ma sei stanco di sentirti consigliare titoli senza parole, allora potresti leggere un fumetto senza disegni.

In Longshot Comics, Shane Simmons racconta la lunga e inutile vita di Roland Gethers. Solo che in questo fumetto i personaggi, che si muovono e vivono all’interno di una gabbia regolarissima – granitica, potremmo dire – sono rappresentati con dei puntini (quasi) tutti uguali. Il risultato è una sorta di script teatrale visuale, in cui capiamo cosa sta succedendo e chi sta parlando solamente dai dialoghi, con pochi o nulli suggerimenti visivi. Un po’ allo stesso modo in cui Yokoyama ne Il viaggio gioca con la gerarchia d’informazioni, scombussolata dalla totale mancanza di appigli, qui è un altro set d’informazioni a mancare, quello che generalmente (ed erroneamente) pensiamo renda il fumetto tale: l’immagine.

I puntini che sono i personaggi di Shane Simmons compiono azioni che non possiamo vedere, ma solo intuire dai dialoghi. Niente mimica facciale a suggerire emozioni, niente linee dinamiche a comunicare un movimento che è anzi del tutto assente. Ma questo non significa che non ci sia, in Longshot Comics, un senso del ritmo. Grazie a una scrittura brillante, una sottile ironia che permea la scelta di ogni parola, e il silenzioso scorrere del tempo che accompagna vignette tutte uguali, l’autore tiene incollati alle pagine incalzando sempre e costruendo una sorta di fumetto impossibile. Pare impossibile, iniziata la lettura, appassionarsi alle vicende del puntino Roland Gethers, affezionarsi a lui e ai suoi compari, soffrire la condizioni del lavoro in miniera o ridacchiare amaramente per il disperato umorismo coi cui viene dipinta la vita in trincea.
Eppure, in questo fumetto impossibile, ci ritroviamo a provare un’altrettanto impossibile empatia, che ci accompagna attraverso la cronistoria di una vita lunga e inutile (parole dell’autore), dall’inizio alla fine.