Incontro con Muñoz
L’incontro con José Muñoz inizia puntuale, alle 16.30, in una gremita aula della Facoltà di Lettere e Filosofia.
La prima domanda che Emilio Varrà rivolge all’autore argentino riguarda il suo rapporto con i maestri. La risposta (come le seguenti) è appassionata e fluviale: Muñoz racconta come l’incontro con l’opera dei suoi maestri, tra cui cita Pratt, Breccia e Solano Lopez, sia stata una vera e propria folgorazione, che ha condotto ad un desiderio di eccellenza sul piano qualitativo. Per Muñoz questi autori mostrano la possibilità concreta di poter essere popolari senza venir meno al rispetto nei confronti del proprio talento, messo al servizio del lettore, sia esso un bambino od un adulto.
Per l’autore argentino la dimensione etica del proprio lavoro è imprescindibile: più volte in tutto l’intervento ricorrono le parole dignità, rispetto, eccellenza.
E proprio sull’importanza delle parole dedica alcuni minuti: bacchetta un giornalista italiano che in un articolo su Alack Sinner definisce il personaggio come cinico: per Muñoz il suo eroe è esattamente il contrario. Citando Cortazar, l’autore spagnolo si definisce un “trasognatore“, colui che davanti la meraviglia del creato resta a bocca aperta, rischiando addirittura di ingoiare qualche mosca, ma, come dice, “qualche rischio bisogna pur correrlo!” Si definisce incapace di rassegnarsi ad una visione realistica e sterile della realtà, tanto da “vedere disegni ovunque“.
A Varrà che rileva come l’elemento della folgorazione sia sempre presente nella sua costruzione delle immagini, Muñoz risponde come una delle sue ossessioni sia il tema della luce e dell’ombra (“dico luce ed ombra ogni tre parole“), quanto il suo immaginario sia stato influenzato dal cinema: il quartiere in cui abitava a Buenos Aires era ricco di cinema, le proiezioni iniziavano alle 10 del mattino e spesso Muñoz e gli amici vedevano fino a 4 film al giorno. La città di Muñoz è inoltre una città cosmopolita, come il suo stesso paese, definito da Muñoz un “miscuglio di culture ed identità” che diviene caratterizzante nella visione dell’autore, contrassegnata dal tema della molteplicità.
L’incontro dell’autore con Sampayo conduce alla nascita di Alack Sinner, e con questa serie all’introduzione di temi finora inediti nelle storie a fumetti popolari, seguendo semplicemente le suggestioni cinematografiche, attingendo alla tradizione western, ma anche ad aspetti della quotidianità. Muñoz e Sampayo non credono che una storia a fumetti, solo perchè destinata ad un pubblico ritenuto, a torto, “innocente” come quello dei bambini, debba essere infantile.
Nello scrivere le storie di Alack Sinner, racconta Muñoz, i due autori attingono alla tradizione noir americana, si rifanno ad autori come Chandler, ed in genere il cinema degli anni 20 e 30 con i suoi stilemi sta alla base delle atmosfere che scelgono per la serie di Alack Sinner.
Uno dei loro scopi è il racconto della corruzione politica, del sopruso dei potenti su chi si trova ai piani bassi della scala sociale. L’oscurità raccontata e rappresentata dal tratto di Muñoz è per il disegnatore emblema del “terrore presente nel retrobottega degli argentini“, che avvertono a partire degli anni 70 la spinta reazionaria appoggiata dai latifondisti antidemocratici.
Emilio Varrà rileva come nelle storie di Alack Sinner convivano rappresentazione realistica e dimensione epica e Muñoz spiega come questo risieda fondamentalmente nel tentativo dell’eroe protagonista di essere buono. Portando come modello la scrittura di Scerbaneco (in antitesi a “stormi di giallisti che oscurano il cielo della patria“), la realtà che Muñoz vuole raccontare è una realtà sfaccettata, ed il genere noir è quello che i due autori trovano congeniale per poter mettere in scena la brutalità e la corruzione della realtà, altro tema che Muñoz sostiene essergli molto caro. Il disegnatore sostiene infatti che la materia corrotta produce trasformazioni imprevedibili e per questo affascinanti.
Se la vita non ha senso, “ma è solo la prima volta che vengo al mondo, magari la prossima potrebbe essere migliore“, è per Muñoz compito dell’INTRATTENIMENTO (tutto maiuscolo) raccontare storie che possano aiutarci almeno a divertirci. E se, come giustamente sottolinea Emilio Varrà, Alack Sinner invecchia nel susseguirsi delle tavole, e sembra quasi volersi ritirare, è perché, sostiene Muñoz, non è possibile vivere continuamente con il fardello di quella che l’autore definisce “lucidità“, intesa come continua consapevolezza della complessità del reale. Sinner invecchia, diventa nonno (come Muñoz) e la dimensione privata diventa sempre più necessaria ed importante nella sua vita. Le esperienze di vita degli autori finiscono nelle loro storie, come ad esempio il rapporto di Muñoz con la propria figlia, e tra Sinner ed i suoi autori si instaura uno scambio di esperienze biunivoco.
Se Alack Sinner si evolve e muta, così fa il tratto di Muñoz che nel tempo si trasforma si deforma. Il disegno è per Muñoz il prodotto di un flusso emotivo caratterizzato da un tentativo di partecipazione e comprensione della realtà, e per descrivere questo egli porta ad esempio Pratt, che riusciva a far “vibrare” le foglie che disegnava come fossero mosse dal vento.
Ad una domanda sul carattere espressionista del suo lavoro, Muñoz risponde sostenendo di non essere un ritrattista. Il suo stile è l’esito della lezione appresa dal lavoro dei maestri, la rielaborazione cosciente di quanto ha consumato, si tratti di fumetto, pittura, letteratura o cinema. Confessa di non considerarsi un ritrattista e di aver faticato molto nel lavorare alla storia su Billie Holiday, non potendo prescindere dal materiale fotografico. Solo una lunga rielaborazione personale delle foto e l’osservazione delle trasformazioni del volto della cantante, tumefatto dagli abusi e dalle sofferenze personali ha permesso a Muñoz di elaborare un serie di “facce possibili” da dare alla sua protagonista.
Appare evidente come per il disegnatore argentino sia indispensabile una distanza, anche spaziale, da ciò che disegna. Affascinato dall’esotismo respirato sin da piccolo in un paese ricco di stranieri, dalle silhouette delle città americane viste nei film, Muñoz racconta di riuscire a disegnare più efficacemente i luoghi quando gli sono distanti, attingendo all’immagine di essi rielaborata dalla sua interpretazione. Per questo, nonostante abbia vissuto molti anni in Argentina le storie ambientate nel suo paese nascono quando ormai vive da alcuni anni in Europa: “perchè disegnare la porta accanto quando bastava uscire di casa per vederla?“. Un processo di rielaborazione del passato che prosegue, parallelamente ad una continua evoluzione del disegno, testimoniata ad esempio dall’uso del colore, presente nelle opere in mostra.
(dal nostro inviato Davide Grilli)
Non c’é alcuna novità sui volumi di Alack Sinner editi dalla Nuages?