Sulla Barcazza con Cattani
di Alberto Casiraghi e Elena Orlandi
Sono passati diversi anni dalla pubblicazione da parte di Ernest della prima parte di Barcazza. Come mai c’è voluto tutto questo tempo per poter leggere il libro che abbiamo tra le mani?
Passare da un racconto breve a un “libro” per me non è stato così semplice. L’approccio è completamente differente, perciò ho dovuto studiare, leggere e pensare parecchio. L’idea vera e propria di fare un libro è nata a lucca nel 2009 quando con l’editore, canicola, abbiamo ragionato su quale storia avrei potuto sviluppare e abbiamo concluso che Barcazza aveva ancora molto da dire. La gestazione è durata più o meno un anno, considerando tentativi, riscritture e molte pagine cestinate, forse più di 40. Il problema era soprattutto recuperare l’atmosfera del racconto che avevo scritto due anni prima e che era stato ispirato e condizionato da dinamiche, ambienti e persone ormai lontane. Una volta ritrovata l’essenza della storia ho cominciato a lavorare, e il libro è venuto fuori anche perché non mi sono più posto problemi e mi sono seduto al tavolo; in un paio di mesi, di cui non conservo alcun ricordo, l’ho disegnato tutto d’un fiato.
Questo tempo intercorso ha influenzato il risultato finale oppure quello che possiamo leggere oggi era già nella tua testa anni fa?
Sicuramente averlo fatto ora ha trasfigurato il lavoro. Ma questo credo sia un bene, nel senso che, nel mio caso, se da un lato è molto importante lavorare sulla spontaneità e la freschezza delle scene, così che la rappresentazione possa essere più vitale ed evocativa, dall’altra lasciare che i personaggi maturino dentro di me è un processo necessario affinché la storia diventi per così dire più chiara, autonoma.
Daniele Barbieri nel suo blog accosta il tuo segno alla linea fragile di Mattotti, mentre Matteo Stefanelli nelle motivazioni di voto della Top Ten de LoSpazioBianco tira in ballo il disegno di Anders Nilsen. Che effetto ti fanno questi paragoni e che ne pensi?
Sono autori che mi piacciono molto, insieme a tanti altri come Munoz, Gipi, Mari, Taniguchi, Otomo, Bacilieri, Matsunaga, Blain, che mi hanno formato e da cui mi sono anche distanziato per trovare quello che è il mio modo di disegnare e di interpretare il mondo. A me interessa rappresentare le dinamiche dei rapporti, di svelare i ruoli nei quali siamo costretti ogni giorno per interagire con l’esterno, e come questi ruoli diventino delle vere e proprie gabbie che strozzano la natura di ognuno di noi. Credo si tratti di un semplice reportage di ciò che vedo intorno a me.
Leggendo Barcazza ho avuto la sensazione di essere più un voyerista che un lettore, nel senso che mi è sembrato di osservare da una posizione privilegiata, quasi di intromettermi in questa porzione di vita di questa famiglia colta in un momento di vacanza. Che ne pensi?
Forse perché io stesso sono un voyerista, sono l’osservatore di un piccolo mondo autonomo che si evolve da sé e che contiene i bisogni individuali dei personaggi. Ogni volontà si scontra con le altre, modificando continuamente il corso della storia; piccoli imprevisti si sovrappongono e si stratificano dando vita a una ragnatela di rapporti sempre più intricata e ingestibile…
Barcazza mi sembra un frammento congelato di una storia dove più che la trama, per quanto necessaria ma altrettanto minimale, conta la definizione dei personaggi. Anzi, più ancora di questo mi sembra che ci sia una estrema attenzione nella rappresentazione dei gesti e dei movimenti. È così?
Certamente a discapito di un possibile sviluppo avventuroso della vicenda sono rimasto aggrappato al realismo, alla normale vita di questi personaggi, spostando l’attenzione su ciò che normalmente rimane sepolto o non viene preso in considerazione. E’ come fissare l’inquadratura sullo spazio bianco tra un personaggio e l’altro, sui sentimenti e le volontà profonde che condizionano anche le scelte più piccole di ogni giorno. Più di ciò che diciamo di voler fare conta quello che abbiamo nella pancia, la sensazione che plasma in modo irrazionale e imprevisto il corso della vita. Penso che in certi casi non dire, celare, lasciar intuire possano raccontare molto meglio determinati stati d’animo evocando, e non spiegando, le esperienze e le pulsioni che ci determinano. Altre volte invece è necessario lavorare sulla naturalezza dei dialoghi per spiegare il tipo di rapporto che intercorre tra i personaggi… tutto sta nel trovare l’equilibrio giusto.
C’è anche un’attenzione parallela al paesaggio naturale e al “paesaggio” del corpo, con evidenti (per me) rimandi dell’uno all’altro, che trovo in perfetta sintonia con l’atmosfera voyeristica di tutto il fumetto. È una cosa di cui ti sei reso conto? È intenzionale?
Hai ragione, è evidente ma non intenzionale. Una volta finita la tavola mi rendevo conto di aver disegnato le chiappe anche alla montagna. Credo sia dovuto al lavoro ossessivo fatto sul corpo umano che a volte si fonde e si confonde con il panorama e a volte lo contagia. Insomma sono caduto vittima dello stesso tranello riservato ai personaggi… il disegno mette a nudo l’inconscio, dicono.
Anche seguendo il tuo blog, si nota con quanta attenzione hai sviluppato un lavoro sulla plasticità delle figure e sullo studio del movimento di corpi, non importa quanto definibili o definiti. Questo porta alla domanda, se vuoi anche banale: nel tuo essere fumettista c’è una predominanza del disegno rispetto al racconto, oppure ogni tua linea nasconde già in essa il fine ultimo che è quello di raccontare?
Il fine ultimo è raccontare per immagini. Non credo che una cosa prevalga sull’altra e penso alle peculiarità del fumetto e basta, a quello che il fumetto può raccontare meglio di altri linguaggi… o meglio non ci penso tanto, mi viene automatico raccontare così. Come ho già detto, in questa storia mi interessava raccontare l’intimità dei personaggi più che seguire una narrazione consueta con un inizio, uno svolgimento e una fine. Le storie nuove a cui sto lavorando, ad esempio, sono molto più strutturate, anche se determinate da una certa aderenza con la realtà. Mi piace molto l’idea di poter fare, prima o poi, racconti di avventura ma per ora sono completamente preso da questo modo di raccontare. Forse è un modo per analizzare, rileggere e interpretare la mia vita e le persone che mi nuotano intorno…
Usi degli stili di disegno molto diversi tra loro (Barcazza, cartoline su internazionale, storia – bellissima – su Animals n.9). In che modo “decidi”: ti guida la storia o è più lo stile che stai sperimentando in un certo periodo a guidarti verso la storia?
Una cosa non esclude le altre. Sono sempre in fase di ricerca e sperimentazione, per cui spesso cambio carta o pennino e questo automaticamente cambia il segno, il modo di disegnare, di muovermi all’interno della vignetta, lo stile e la rappresentazione dei personaggi e dell’atmosfera. Insomma dipende da quello che trovo sul tavolo da disegno la mattina che decido di cominciare a inchiostrare.
Francesco Cattani sarà a BilBOlBul
sabato 5 marzo alle ore 12:00
presso la Libreria FELTRINELLI RAVEGNANA
Interverranno Paolo Nori
Riferimenti:
Il blog di Francesco Cattani: http://barcazza.blogspot.com