José Muñoz: il sangue degli ancestri (quarta parte)
4. Peccatori
Il nome di Alack Sinner è un gioco di parole: suona un po’ come “I, lack sinner” (io, povero peccatore). L’investigatore di José Muñoz e Carlos Sampayo vive in un mondo di conflitti manichei incerti. Il male, sempre presente nelle storie, è assoluto e ben visibile. E’ una malvagità sociale che schiaccia gli umani. Il bene, invece, non esiste. Tutti i personaggi messi in pagina dai due argentini sono dei peccatori, costretti a sbagliare continuamente e a cercare rimedio per gli errori commessi.
Ed è forse per questo che le pagine di Muñoz sono cariche di inchiostro. La predominanza del nero è abbacinante e costringe il lettore a cercare rifugio nei pochi spazi bianchi. Chi l’ha visto al lavoro dice che José disegna a matita con un’incredibile dovizia di particolari, identificando puntualmente tutti i volumi e tutti gli oggetti e i personaggi che si muovono sulla pagina, e che, poi, con assoluto rigore stende un velo di inchiostro su tutto ciò che non può e non deve essere visibile. Questo approccio gli consente un distacco assoluto dall’uso del bianco e nero lombrosiano del maestro Chester Gould sulle pagine di Dick Tracy. Nelle strisce di Gould l’investigatore ha un viso squadrato e perfetto, si circonda di una compagnia di belli e onesti e combatte criminali immondi e difformi che riportano sul viso le stigmate della cattiveria. Alack Sinner ha il volto stanco e segnato dal tempo e dagli eccessi, impara ad amare donne dal corpo vivo e ha grandi difficoltà a identificare il nemico negli individui che la sorte gli contrappone.
Il nero di Muñoz non copre il disegno per far sparire la realtà. Cerca piuttosto di farla emergere: è una rivolta politica forte che si oppone alla cancellazione del dialogo e dello scontro. Dal 1976 al 1983, la giunta militare che schiavizza l’Argentina fa sparire migliaia di individui. La scomparsa dei desaparecidos è una sottrazione immonda che cerca di rimuovere i corpi antagonisti dalla vista e dalla memoria. Lo stesso Hector Gérman Oesterheld, sceneggiatore sui cui fumetti José si è formato come lettore e come autore, sparisce il 21 aprile 1977. Muñoz ricopre di nero il suo segno perché questi personaggi fittizi immersi in un bagno di realtà siano ben visibili e indimenticabili.
Tutto quello che non compare sulle pagine cariche di nero di Muñoz segna con maggiore incisività lo sguardo del lettore. A partire dal 1981, ancora una volta in coppia con Carlos Sampayo, realizza per la rivista “Frigidaire” la serie di racconti Sudor sudaca. In quelle pagine ci sono vignette, che parlano di traffici di armi in Sudamerica, che il disegnatore non ha voluto o potuto tracciare. Questi quadretti sono stati sostituiti dal frammento della sceneggiatura di Sampayo. Usando le parole di Muñoz, “in questo fumetto c’è troppa realtà per poterla disegnare”.
Ed è proprio l’esigenza di distacco dalla realtà che ha spinto Muñoz a investigare il passato dell’Argentina cercando di allontanarsi da un contesto sociale che percepisce come sempre più globalizzato. Dopo la realizzazione di un ultimo sofferto episodio di Alack Sinner, il caso USA, Muñoz e Sampayo hanno ricostruito la storia di Carlos Gardel, voce fondante dell’Argentina e del tango. Il risultato della collaborazione è un fumetto strano in cui si percepisce una distonia forte tra gli intenti dello sceneggiatore e quelli del disegnatore. Sampayo vuole costruire un altro tassello nella sua storia della musica popolare che ci ha permesso di leggere, tra l’altro, la biografia di Billie Holiday (con Muñoz, nel 1990), quella di Fats Waller (con Igort, tra il 2003 e il 2004) e la finzione verosimile di Fly Blues (con Oscar Zarate, nel 2008). Muñoz vuole recuperare con forza la storia della propria terra d’origine. Da anni disegna la Pampa, di cui si sente figlio, si sperimenta nell’uso del colore per cercare di dare toni e sfumature cromatiche alle memorie lontane. Vuole ritrovare il senso della realtà nel disegnare una nuvola che sia “viva”. Vuole staccarsi da una realtà in cui percepisce un imperialismo feroce e sanguinario. Vuole smettere di essere prigioniero, anche nella finzione narrativa che produce, di un sistema delle merci e del denaro.
“Finora stiamo navigando nel sangue altrui e nel nostro, cercando di darci un senso e un contegno. Ma cos’è il danaro? Il danaro è sangue vecchio trasformato in danaro. È il sangue di quelli che ci hanno preceduto e hanno lavorato convertito in danaro, e noi siamo in un delirio commerciale pubblicitario, commerciando con il sangue morto dei nostri ancestri. Cazzo!”
(le parole di José vengono da un’intervista inedita che mi ha concesso nel 2006, Nda)
(4 – Fine)
Tutti gli appuntamenti con José Munoz a BilBOLBul
archivio.bilbolbul.net/it/jose_munoz