José Muñoz: il sangue degli ancestri (terza parte)
3. Il risveglio del poliziotto
“AlterLinus” è un laboratorio straordinario assemblato con grande gusto da Oreste del Buono. La rivista è la filiazione diretta dei supplementi di “Linus” (presenti in edicola fin dal 1966 con cadenza anche bimestrale e con testate memorabili come “ProvoLinus”, “AquaLinus” o “MarzoLinus”) ed è destinata a presentare i fumetti fantastici e avventurosi che non possono più trovare spazio su “Linus”, sempre più attenta al contesto sociale e politico.
Il caso Webster, primo episodio di Alack Sinner, uscito nel gennaio 1975, deve conquistare il proprio spazio tra i cazzotti del Popeye di Bud Sagendorf, le vicende feuilletonesche della Paulette di Wolisky e Pichard e il manicheismo grafico e narrativo del Dick Tracy di Chester Gould (verso cui José Muñoz è, per molti versi, debitore). E’ una storia solida e pulita nella struttura e sporca e fumosa nelle ambientazioni; un fumetto che dichiara esplicitamente il proprio sistema di riferimenti: i due autori offrono una lettura critica e omaggiante all’universo hard boiled, e, soprattutto, al Philip Marlowe di Raymond Chandler.
Sul numero successivo, quello di febbraio, c’è il secondo episodio di Alack Sinner, Il caso Fillmore, e le regole vengono stravolte. Il fumetto si apre con una prima tavola inattesa, che racconta il risveglio di Alack Sinner. La routine mattutina, che rende indimenticabile e inquietante – dal 2006 – la sigla della serie televisiva Dexter, è qui presentata con un’aurea di normalità quasi imbarazzante per il lettore: la sveglia, la prima delle molte sigarette della giornata, il romanzo appoggiato sul comodino (è il lungo sonno di Chandler, con un errore nel titolo), le pantofole, i quotidiani che ricoprono il pavimento, il primo sguardo al proprio volto nello specchio del bagno e la pisciata del risveglio. Già. Un fumetto d’avventura che si apre con l’eroe intento a espletare la più banale delle esigenze fisiologiche, mentre attorno a lui – alla radio, sui giornali, nelle voci dei passanti – iniziamo a percepire che il mondo succede con una inarrestabile matericità sociale e politica.
In questa storia d’indagine diventa evidente l’importanza che, per José Muñoz e Carlos Sampayo, il racconto dell’oggi deve avere. Tutto viene trasfigurato attraverso la lettura del genere e l’ambientazione newyorkese, ma al lettore è chiaro che Alack Sinner, investigatore con la pistola ingaggiato da loschi figuri e sedotto da donne fatali, vive nel suo stesso mondo, in labile equilibrio sulla pochezza dei potenti della terra. Per spiegare questa atmosfera di avvolgente attualità, Sampayo è solito dire: “tutto intorno il rumore della realtà”.
Una realtà così tangibile che deve essere vissuta in prima persona dagli stessi autori. I due argentini fanno capolino nelle storie di Alack con l’episodio La vita non è un fumetto, baby del 1976. In quelle pagine si impossessano dell’appartamento dell’investigatore e rifiutano di uscirne fino alla soluzione del caso. Interrogato sulla necessità di rimanere accanto alla propria creatura, José Muñoz confessa:
“Siamo stati per molti anni molto vicini, anche corporalmente, nel disegno e nelle parole ad Alack Sinner. Ci piaceva imitare Hitchcock che appariva nei suoi lavori, leggendo giornali e raccogliendo fazzoletti persi per strada dalle donne. Si può dire che era un peccato di gioventù che non mi vergogno affatto di aver commesso. Noi volevamo essere vicini ad Alack Sinner e, con i nostri limiti, ci siamo messi dentro le storie. Però adesso siamo diventati (almeno io) una specie di nuvola invisibile che è attorno alle storie: il mio corpo e la mia persona non appaiono più, e neanche Carlos ne ha voglia. Non è stata una decisione cosciente. Semplicemente, siamo ridiventati quello che eravamo all’inizio… ossia le persone che sono fuori dal fumetto e fuori dalla storia. Quelli che la raccontano con un compromesso sentimentale e che, però, non appaiono. Mai più. Quando mi disegno, mi disegno altrove non nell’Alack Sinner. Noi che siamo capaci di disegnare e di investigare con la linea, investighiamo le nostre rughe. Investighiamo il nostro passaggio nel tempo perché abbiamo questa possibilità. Non mi metto più in Alack Sinner forse perché ormai ho troppe rughe. Breccia si disegnava continuamente, ma Breccia aveva una faccia più interessante della mia da disegnare.”
(3 – continua)
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