Le Palacinche di Tota e Sansone

Le Palacinche di Tota e Sansone

di Alberto Casiraghi e Elena Orlandi

Palacinche è un lavoro realizzato a quattro mani da Alessandro Tota (l’autore di Yeti, Coconino Press/Fandango) e la fotografa Caterina Sansone. Il progetto, accosta fumetto e fotografia per narrare la storia della madre di Caterina, esule giuliano-dalmata accolta come profuga in Italia dopo l’annessione di Fiume all’ex Jugoslavia. Nel 2009 i due autori hanno deciso di intraprendere a ritroso il suo stesso viaggio, percorrendo l’Italia da nord a sud per ritrovare i luoghi che cinquanta anni prima erano stati adibiti a campi profughi, fino ad arrivare a Rijeka (Fiume) in Croazia.
Palacinche è presentato per la prima volta in un’esposizione qui a BilBOLBul.
Di questo, e del libro che ne verrà tratto, abbiamo parlato con un Alessandro Tota.


Palancinche, che se non sbaglio aveva fino a poco tempo fa un altro titolo, Andata/Ritorno. La mostra è collegata a un libro dallo stesso titolo che uscirà per Fandango nel 2012. Ci puoi parlare di questo progetto e della sua genesi?
Si’, il primo titolo era in effetti Andata/Ritorno, ma Palacinche ci sembrava migliore. La genesi del progetto è semplice: Caterina da anni voleva capire meglio le origini di sua madre Elena, una delle migliaia di esuli dell’Istria e della Dalmazia fuggite dal comunismo jugoslavo. Elena è partita da Rijeka/Fiume quando aveva otto anni, e ha vissuto dodici anni nei campi profughi di mezza Italia.
Questa è una pagina abbastanza controversa nella storia, e coinvolge molti protagonisti della realtà politica dei due paesi (Italia e la ex-Jugoslavia). Il nostro approccio è stato più intimo, pur studiando la storia e parlandone nel libro, era soprattutto l’esperienza umana dell’esilio che ci interessava. Per cui abbiamo ripercorso il viaggio di Elena al contrario, ritrovando i luoghi dei campi profughi per capire cosa fosse rimasto. Il tutto seguendo una lunga intervista a Elena che è il vero timone del libro, insieme ad altre interviste più brevi fatte nelle varie città.

Credo che il titolo Palancinche sia di derivazione gastronomica, o sbaglio? C’è qualche significato dietro ad esso?
Le palacinche sono le crepes . Una delle poche parole croate che Caterina conosce. Ci siamo imbattuti nella scritta mentre eravamo in Croazia, e si è accesa la lampadina. E’ un bel ricordo di infanzia, molto semplice, la mamma che le fa le frittelle, e ci sembrava adatto al tono della nostra storia.

Abbiamo letto un po’ di tempo fa su Animals una storia breve, Viaggio in Italia, che introduceva di fatto il viaggio che stavate per intraprendere per questo progetto. La ritroveremo nel volume? E più in generale come sarà composto questo libro?
I materiali che hanno composto quella storia sono presenti anche nel libro, ma sono stati ridisegnati e riscritti. Essendo il libro un diario di viaggio pero’ era difficile prescindere da quegli avvenimenti.

In questa storia ti schernisci narrando della difficoltà di convincere l’editore francese della bontà del libro che avevate in mente? E’ andata proprio così oppure invece hai trovato facilmente interesse?
A dire la verità non ho ancora proposto il libro ad alcun editore francese. Quella scena è un escamotage per far passare molte informazioni in maniera leggera, senza farne sentire il peso al lettore. Il problema nei fumetti-reportage è spesso il momento in cui si deve spiegare il nucleo di una situazione, nel mio caso sfrutto l’eterno conflitto tra interesse economico e artistico come molla umoristica, per tenere viva l’attenzione e dare al tempo stesso le informazioni che mi servono.

Quanto c’è del fatto di essere a tutti gli effetti, tu e Caterina Sansone, degli emigranti per motivi di lavoro nell’idea e nella volontà di intraprendere questo progetto?
Nulla, almeno a livello cosciente. Essere andati in Francia ha creato le premesse “pratiche” attraverso i finanziamenti che ci ha dato il comune di Parigi. E naturalmente attraverso tante altre circostanze che poi sono quelle che siamo andati a cercare venendo a vivere in Francia.

In qualche modo la vostra esperienza di lavoratori lontano dal vostro paese d’origine vi è stata di aiuto per comprendere quello che possono provare tutte quelle persone che in condizioni simili o diverse dalle vostre sono costrette ad abbandonare la propria terra?
Non credo. Noi siamo emigrati di lusso, figli del benessere. Certo, possiamo capire la nostalgia, ma la difficoltà di sfamare una famiglia è un altro paio di maniche.

Da parte vostra vi siete posti il problema del rispetto della memoria delle persone coinvolte? E se sì, come avete pensato di affrontarlo?
Non ci siamo posti problemi nel domandare, ma nemmeno abbiamo forzato le confessioni. La questione era l’attendibilità. Possiamo credere a quello che dicono le persone che intervistiamo? Ognuno fornisce la sua versione della storia, e nel tempo il modo di raccontare gli eventi della propria vita cambia. Sia perché la memoria si affievolisce, sia perché è inevitabile che un episodio “vero” si modelli in base a quello che ha rappresentato per chi l’ha vissuto.
Abbiamo quindi sposato la completa soggettività, e ci siamo interessati soprattutto alla parte umana della vicenda. Con un po’ di buon senso abbiamo selezionato alcune testimonianze a discapito di altre.
Elio Petri diceva che non c’è niente di più soggettivo di un documentario. Con questo libro forse ho capito cosa intendesse dire, perché il montaggio modifica completamente l’impressione che avrà il lettore.


In questo progetto tuoi fumetti sono accostati alle foto di Caterina. Il connubio tra questi due linguaggi è stato istintivo, semplice, naturale o avete precedentemente discusso quali criteri e quali obbiettivi narrativi avreste dovuto perseguire?
Secondo me si possono mettere insieme i materiali più eterogenei, ma ci deve essere un’idea forte, e trovare il ritmo narrativo giusto. Se nel farlo si collabora con un’altra persona bisogna condividere la visione generale del progetto, parlare degli obiettivi narrativi, e definirli insieme. Nel nostro caso, sapevamo entrambi che volevamo qualcosa di leggero, di piacevole. Non volevamo fare un drammone strappalacrime: questa gente ha saputo reagire alla propria situazione, non si sono lasciati andare.
Poi la luce delle foto di Caterina è quieta, pacifica, e questo ha definito il tono dei disegni, che sono stati realizzati in un secondo momento rispetto alle fotografie.

Come è stato dover negoziare il tuo lavoro con un’altra artista?
Un’esperienza bella. Ci siamo accapigliati in qualche occasione, ma è inevitabile nelle collaborazioni.

Ritieni che tra le due vostre voci ci sia stato un dialogo o esse percorrono separatamente, fianco a fianco il viaggio attraverso l’Italia e l’ex- Jugoslavia?
C’ è un dialogo reale, fatto di parole, che si è svolto nella realtà, e che inizialmente volevamo inserire nel libro. Alla fine pero’ ha lasciato il posto alla voce unica della madre, e abbiamo soppresso le parti di coppia, mantendone l’essenza nell’alternarsi di disegni e fotografie. Il vero dialogo è visivo.

Come in tutti i viaggi, anche il vostro sarà stato un’esperienza coi suoi risvolti umani più o meno profondi. Mettere tutto dentro un libro, per quanto articolato come il vostro, non è una cosa semplice e probabilmente neanche possibile. Cosa resta fuori che più hai il piacere di ricordare?
Purtroppo alcune belle interviste a varie persone che abbiamo incontrato sono state tagliate per motivi di spazio. La cosa che di più mi è dispiaciuto tagliare è stata l’intervista alla zia di Caterina, di cui è rimasto solo un pezzetto. Era del bel materiale, soprattutto grazie alla tendenza a divagare della zia. Ma appunto divagava un po’ troppo.

La mostra Palacinche allo Spazio Labò – Centro di Fotografia verrà inaugurata domani 4 marzo alle ore 19,00 e rimarrà aperta fino al 26 marzo.
Sabato 5 marzo alle ore 17,00 sempre allo Spazio Labò si terrà invece un incontro con i due autori.
Interverrà Chiara Sighele dell’Osservatorio Balcani e Caucaso.

archivio.bilbolbul.net/it/sansone_tota.







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