José Muñoz: il sangue degli ancestri (seconda parte)
La prima parte qui
2. Indagini private
Il fumetto è un’arte semplice: disegni in fila che accolgono dialoghi e azioni; parole e immagini in cerca di un punto di equilibrio, e stereotipi grafici bellissimi da disegnare. Chiunque si sia scoperto anche minimamente dotato per il disegno sa quanto sia seducente l’idea di imparare a fare fumetti. Ognuno di noi custodisce, nel giardino dei propri ricordi più cari, la memoria di almeno un libro su cui avremmo voluto imparare quella forma di racconto.
Nel 1982, la casa editrice Editiemme ha pubblicato La tecnica del fumetto, edizione italiana del manuale della Escuela Panamericana de Arte di Buenos Aires. Il libro, uscito originariamente nel 1966, non avrebbe alcun merito particolare (oltre quello, innegabile, dello sguardo affettuoso della mia memoria) se non fosse per la presenza degli insegnamenti di Alberto Breccia, Arturo Del Castillo, Hugo Pratt, Quino e José Luis Salinas.
In quella scuola José Muñoz ha imparato la tecnica del fumetto. Sedotto dalla grandezza grafica e narrativa di Al Taliaferro, di cui aveva amato il Bucky Bug pubblicato su “Pato Donald” (testata disneyana argentina), il giovane José si iscrive alla Escuela Panamerica di Enrique Lipszyc, per studiare con Pratt (che però aveva finito il suo periodo d’insegnamento l’anno prima). Nelle aule della scuola, Muñoz segue il corso preparatorio di disegno con Luis Dominguez, prima di accedere agli insegnamenti di Alberto Breccia. Negli stessi giorni, il talentuoso tredicenne va a studiare pittura e scultura con Humberto Cerantonio, scultore con un’idea molto chiara delle gerarchie dell’arte: chiaramente egli non vede di buon occhio la fascinazione che il suo allievo sente per il fumetto. In quel periodo, Muñoz deve trovare il punto di equilibrio tra le sue due vocazioni: usando parole sue, arte e prostituzione.
Lo cerca, senza trovarlo, quel punto di equilibrio, nel 1963, quando disegna per la rivista “Misterix” su testi di Ray Collins, Precinto 56, una serie dura, metropolitana, fortemente influenzata dalle versioni cinematografiche dell’hard boiled chandleriano. Zero Galvan, il poliziotto di Collins e Muñoz, che anni dopo leggeremo anche in Italia sulle pagine della rivista “Sgt. Kirk”, è un biondino dal volto largo, segnato dal fumo dalle donne e dall’alcol. Quando il disegnatore, abbandonata l’Argentina per l’Europa, troverà il proprio approdo creativo nella collaborazione con Carlos Sampayo e nelle avventure di Alack Sinner, “Precinto 56” avrà un nuovo disegnatore, Angel Lito Fernandez, e Galvan un volto nuovo da poliziotto latino che affronta New York con lo sguardo dell’immigrato. In un paio di occasioni Sinner e Galvan si incroceranno dalle parti del distretto 56 per scambiarsi necrologi e rimproveri.
L’Argentina si avvia verso tempi sempre più bui quando, all’inizio degli anni Settanta, José si trasferisce in Europa. Arriva prima a Londra, poi in Spagna e, infine, a Milano. E lì, dopo aver incontrato un altro esule portegno, Carlos Sampayo, inizia a frequentare le riviste “Linus” e “AlterLinus”, dirette da Oreste del Buono. Nel gennaio del 1975 esce il caso Webster, prima avventura di Alack Sinner.
(2-continua)
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