Riti di passaggio: intervista a Vanna Vinci

Riti di passaggio: intervista a Vanna Vinci

vinciChe ruolo hai avuto nell’allestimento della mostra?
Un ruolo molto laterale. Nel senso che ho parlato molto con Emilio Varrà, che è il curatore, e poi mi sono confrontata con gli architetti. Comunque non volevo interferire in nessun modo nella parte creativa dell’allestimento né nella cura. Penso che l’autore abbia lo spazio delle tavole, il curatore il suo e i creativi che progettano l’allestimento il loro. Una mostra è fatta dalle opere esposte, ma anche dalla scelta e dall’idea delle tematiche e dal progetto dell’allestimento.
Le opere sono le mie… il resto è territorio degli altri…

Cosa speri di trasmettere ai visitatori della mostra?
Spero che la mostra offra al visitatore un ventaglio di una parte importante del mio lavoro. E’ interessante l’idea che ha avuto Emilio, cioè trattare solo tre opere, e non tutta la mia produzione. Credo che queste opere racchiudano un universo preciso, e siano collegate tra loro. E forse chiudano anche un ciclo. Ecco, spero che la mostra permetta al visitatore di penetrare in questo universo, di passarci dentro. Poi, l’esposizione degli originali a fumetti è sempre una cosa complessa e un po’ strana, visto che i fumetti sono fatti per essere stampati. Spero che qualcuno si interessi anche al prodotto, alla sua artigianalità, al materiale… la carta, l’inchiostro, gli acquerelli… che poi sono proprio la mia quotidianità… quindi che senta i miei temi, ma che veda anche il mio lavoro. Quello manuale di tutti i giorni.

In “Aida al confine” affrontavi il tema del superamento del lutto, mentre Sophia era incentrato sull’accettazione della morte. In “Cani neri gatti bianchi” mi sembra che il tema portante sia la perdita della giovinezza, il venire a patti con la crescita e, di conseguenza, con l’invecchiamento. E’ giusto affermare che i tuoi libri affrontano la medesima tematica, ma da punti di vista differenti?
Sì, è vero. Aida, Sophia e i Gatti neri cani bianchi indagano uno spazio comune. In direzioni e modi diversi, con evoluzioni diverse. Ed è comunque lo spazio che mi interessa in generale. Personaggi che si trovano in momenti cruciali della loro esistenza, che nutrono dubbi, che sono in movimento e in trasformazione, anche se spesso questo movimento si rivela come passività e immobilità apparente. Sono personaggi imbozzolati, e non si sa se diventeranno farfalle. Ma proprio perché si trovano in questa condizione, sono disponibili, permeabili a incontri, contatti e visioni, che forse non avrebbero se, a citare il giovane Holden, fossero “splendidi e dalla idee chiare”. E i temi sono quelli che mi interessano, la morte, il rimosso, in Aida al Confine. La ricerca vitale, la malattia, l’invecchiamento e la dissoluzione, in Sophia. E i riti di passaggio, i cambiamenti e la fatica della crescita, l’inadeguatezza verso gli eventi, anche i più apparentemente semplici, della vita, in Gatti neri cani bianchi.

Come tutte le tue storie, “Gatti neri cani bianchi” affonda le radici nel passato, nello specifico, gli anni ’60. Cos’è che ti affascina di questo momento storico e ti ha spinto a dedicargli una storia?
Be’, intanto io negli anni sessanta ci sono nata, ne ho assorbito l’humus. E gli anni settanta me li ricordo bene. Ecco, mi interessava che venisse fuori un certo carattere delle persone che erano giovani a ridosso del sessantotto. E mi interessava raccontare di questi giovani invecchiati, che a tratti sono più rivoluzionari dei ventenni di oggi e a tratti sembrano dei dinosauri. Volevo ragionare su cosa prova un sessantenne a contatto con un ventenne, un ventenne del sessantotto con un ventenne di oggi. E poi è una storia che parla di fantasmi, e a tratti, quei giovani di allora adesso sembrano lontani, incomprensibili e quasi fantasmatici, ai ventenni di adesso. Forse…
Però sono personaggi a cui mi sento vicina, che mi appartengono, che riconosco, e che amo, in tutta la loro incapacità ad accettarsi e ad accettare l’evoluzione del mondo. Pensavano di cambiare il mondo… come non amarli, adesso che sanno che non ci sono riusciti, se non per un attimo, e non avranno altre occasioni per riprovarci. Come non amarli in tutti i loro difetti…

aidaUn altro elemento forte, nelle tue storie, è la città. La Parigi che hai raffigurato in questa opera è talmente piena di personalità e riferimenti da essere quasi tridimensionale. Come mai la città è così centrale nella tua narrazione?
Le città mi piacciono. Mi piace camminare, in mezzo alla gente, anche nelle periferie, attraversare questi paesaggi totalmente umani. La natura mi spaventa. Certo il mare e le rocce mi piacciono tanto, ma la città è il mio vero universo. La gente, i palazzi, belli o brutti, antichi, decrepiti o rimessi in ordine. Gli strati visibili e invisibili degli agglomerati umani. La gente che cammina, pensando ai fatti suoi magari proprio dove secoli prima è capitata un fatto importante, collettivo o personale. Prendiamo in Gatti neri cani bianchi, che si svolge appunto a Parigi, la protagonista, Gilla, passando una notte in uno dei crocicchi più turistici del Marais, si ritrova in mezzo alla rivoluzione francese, esattamente nel luogo dove è stata uccisa la principessa di Lamballe. Ecco, intendo questo per “strati”… Io vado a fare un giro perla città, magari per bar o negozi, o per lavoro… e non ho percezione di nulla. Eppure la città ha visto davvero un sacco di cose nel corso del tempo.
Insomma, per me la città è un’altra protagonista.
Da questo punto di vista, il discorso vale anche per le altre città presenti nei libri in mostra. Trieste, città mentale, e grande colpo di fulmine. Bologna che è la città dove abito ed uno dei centri storici più belli d’Italia, dove magari passando distrattamente in una strada che attraversi tutti i giorni, ti capita di vedere, dentro una finestra, un muro con affreschi mozzafiato che non avevi mai visto né ti saresti aspettato di vedere proprio lì. E poi Ferrara, e Roma… e altre che non sono in mostra e magari non disegnerò mai… E poi c’è molto del flaneur in me… mi piace gironzolare senza meta a guardare i posti… a spiare… anche a prescindere dai fumetti.

Gilla, la protagonista di “Gatti neri cani bianchi”, è circondata da fantasmi che richiamano la caducità della bellezza, e l’infinita lotta per riportare sempre indietro l’orologio del tempo. Anche gli anziani amici della zia si trovano in una fase di transizione tra l’età adulta e la vecchiaia. Tutto questo sembra suggerire che la vita umana è un eterno divenire, dove non esiste punto di arrivo, bensì una continua crescita, un lungo cammino verso un traguardo a cui tutti preferiamo non pensare. E’ corretta questa interpretazione?
E’ una domanda difficile. Quello che posso dire è che i fantasmi, la Lamballe, Zelda Fitzgerald e la Casati, non sono molto diversi da Cicci, l’amica che ha sessantanni, per lo meno agli occhi di Gilla, che adesso ne ha venti ed è nella fatidica situazione di passare dall’adolescenza all’età adulta. I fantasmi e Cicci e i suoi amici hanno capito che c’è un inganno, e che chi cresce non è detto che si adatti alla perfezione, che si adegui ai cambiamenti. Anche loro sono in trasformazione continua come Gilla, come ogni essere vivente, ma l’incanto è sfuggito. I cambiamenti sono complicati…
Inserisco due strofe di un canzone di Marc Bolan dei T-rex

A Bolanic revision of Orpheus Descending
At an old eighteen exiled he was
To the deserted kingdoms of a mythical Oz
Distraction he wanted, to destruction he fell
Now he forever stalks the ancient
Mansions of hell

Now his lovers have left him
And his youth’s ill spent
He cries in the dungeons and tries to repent
But change is a monster and changing is hard
But he’ll freeze away his summers in his
Underground yard

E poi mi interessa l’idea dell’inadeguatezza, del decadimento. Mi affascinano queste grandi decadute! La discesa di Orfeo, come dice Bolan.
Adesso sto facendo una biografia a fumetti della più grande dandy d’Italia, La marchesa Luisa Casati che compare come fantasma anche in Gatti neri, una grande grandissimo decaduta…

sophiaIn questa storia, per la prima volta, ti sei cimentata con il colore. Personalmente credo che aggiunga molto alle tue tavole, soprattutto nel definire gli umori dei protagonisti, e a volte anche il cambiamento di epoca storica. Tu cosa ne pensi? Le tue prossime opere saranno ancora a colori?
Questa biografia della Luisa Casati sarà a colori.
Non so bene cosa dire su questo, la primissima storia che ho fatto era a colori. Poi tutti gli altri libri li ho fatti in bianco e nero, al tratto, con retini, mezzetinte, tratteggi e spugnettature.
Quando ho ripreso il colore, in Gatti neri cani bianchi, ero ansiosa di farlo ma anche spaventata. Adesso sono contenta del lavoro che ho fatto. Ma non saprei scegliere tra una tecnica e l’altra.
Certo il colore mi ha dato molte possibilità per rendere lo spostamento temporale, per esempio quandola protagonista si ritrova durante la rivoluzione francese o nella psichedelia anni sessanta settanta. O anche per rendere la nostalgia color tramonto nelle tavole in cui Gilla parla col suo amichetto morto a sedici anni, l’eterno adolescente, la sua parte adolescente che rimarrà dentro di lei anche quando avrà l’età di Cicci…
Sì forse qui il colore era fondamentale.

Da qualche anno pubblichi per la francese Dargaud. Forse è una domanda banale, ma vorrei chiederti quali differenze trovi tra il mercato francese e il nostro.
Dargaud è uno dei gruppi editoriali più grossi del mondo. E il mercato franco belga è un colosso gigantesco che muove centinaia di libri di autori di addetti ai lavori e soprattutto di denaro… è un mercato mastodontico rispetto a quello italiano.
Credo che questa sia principalmente la differenza.
Dall’altra, e non so se le due cose sono collegate perché non sono un analista del settore… il libro a fumetti nel mercato franco belga ha lo stesso valore di un libro di narrativa o di una saggio… proprio lo stesso valore.


Tutte le informazioni sugli appuntamenti con Vanna Vinci a BilBOLBul
archivio.bilbolbul.net/it/vanna_vinci


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