Una sosta sulla strada del fumetto: intervista a Liuba Gabriele
Ciao Liuba! Fino a oggi hai lavorato soprattutto con l’illustrazione e la realizzazione di dipinti, ma la tua mostra Aree di sosta rientrerà nell’ambito di un festival dedicato al fumetto. Qual è il tuo rapporto con strisce e vignette?
Il mio rapporto col fumetto è stato incostante seppure ciclicamente nutrito.
Le storie disegnate in sequenze rientrano tra i miei primi esperimenti di bimba. Da ragazzina sono stata una lettrice molto più accanita di romanzi che di fumetti, tuttavia non potevo non provare interesse per una forma di espressione che utilizza come elementi costitutivi scrittura e disegno, le mie più grandi passioni.
Contemporaneamente agli studi all’Accademia di Belle Arti, ho infatti frequentato una scuola di fumetto e negli anni successivi ho seguito workshop legati a quest’ambito e all’illustrazione. Mi sono indirizzata principalmente verso la pittura ma ho anche collaborato con delle riviste e pubblicato vignette.
Ho iniziato a seguire molto il fumetto negli ultimi anni, da quando ne ho conosciuto maggiormente le potenzialità, sia osservando le soluzioni raggiunte da stimabili autori, sia facendo dei tentativi diretti. Così è cresciuta in me la voglia di acquisire maggiore consapevolezza di questo linguaggio e l’idea di poterne modellare le caratteristiche con ciò che è stata fino ad oggi la mia esperienza artistica.
Da dove è nata la serie di illustrazioni Aree di sosta? Si tratta di dipinti legati fra loro da una narrazione oppure di opere isolate?
Aree di sosta s’inserisce in una serie di racconti brevi che scrissi qualche anno fa, ognuno dei quali ambientato in immaginarie metropoli di un vicino futuro e accomunati da un’atmosfera pericolante. Non sono nati con un intento divulgativo e sono rimasti mescolati a tutti gli appunti che vado accumulando fino all’anno scorso, momento in cui Aree di sosta in particolare ricominciò a vibrarmi sottopelle e desiderai dargli anche forma visiva.
La cosa che più mi piace di questa storia è che in quel periodo ricevetti un pacco il cui contenuto era protetto da questo rimboccamento di carta sgualcita: una lunga striscia verde acido (il colore esatto che davo nell’immaginazione al mio racconto) sciupata, piena di rotture. Questo materiale di scarto era la base ideale per i disegni che avevo voglia di fare.
Aveva una sua rovina.
Ho iniziato a lavorarlo con un’istintività che a volte non ci si concede sulla pagina bianca. Potevo inciderne la superficie con tratti forti a matita o tirare il colore col pennello come fosse una graffiatura. Insomma, mi sono innamorata di questo brandello di carta e ho realizzato d’impulso la maggior parte delle immagini che compongono il racconto.
Seven’s Bo è uno spazio insolito per un’esposizione, trattandosi di un ambiente per il coworking e i servizi professionali. Come è nata l’idea della mostra? Hai curato personalmente l’allestimento?
Non conosco le attività di Seven’s Bo nello specifico, ma tra esse è inclusa anche l’organizzazione di eventi culturali ed esposizioni. L’idea della mostra è nata dal mio desiderio di poter proporre per l’area OFF del Festival di Bilbolbul le illustrazioni di Aree di sosta e Seven’s Bo è stata tra le strutture che hanno offerto disponibilità per ospitarla. Ho curato personalmente l’allestimento.
In Aree di sosta ci saranno opere realizzate su tela, un materiale insolito per il mondo del fumetto. Si tratta del materiale con cui lavori abitualmente?
Sì, lavoro spesso su tela, ma non solo. Come si è forse capito nutro un certo amore per le proprietà fragili della carta, per il suo piegarsi al colore e per la certezza che si piglierà addosso tutti i segni del suo tempo.
Hai in programma altri progetti legati al mondo dell’illustrazione o del fumetto?
Ho il forte stimolo a realizzare una storia lunga a fumetti e intendo seguire questa richiesta interiore. Per il momento sto convivendo con l’idea mentale di un personaggio che si delinea ogni giorno di più; m’immedesimo in quelle che potrebbero essere le sue azioni, nel suo modo di muoversi e parlare, negli spazi che percorrerebbe.
È un gioco che mi sta piacendo tantissimo. Dovevo diventare grande per capire quanto.
Il bello è non poter prevedere ancora cosa ne verrà fuori e con quale forma.
AL FESTIVAL
AREE DI SOSTA
In una metropoli del futuro, sulla cima dei grattacieli, si replicano le aree di sosta: spazi artificiali in cui godere del distacco dal caos e di un’assurda libertà.Un racconto illustrato sul tema dell’alienazione. In esposizione le tavole originali tratte dal racconto e tele di grande formato che ne condividono le atmosfere