Magnus, le vite parallele: l’artigiano e l’artista
Bob, anzi Magnus
Il fumettista bolognese è stato uno di quei rari autori capaci di inventare e di indicare altri percorsi stilistici, di aprire nuove strade e valicare ulteriori frontiere, in grado di rinnovare senza tradire la tradizione del fumetto popolare. Ma va ricordato, anche, come autore che non trasse beneficio materiale dal suo talentom anzi pagò un alto prezzo per la dedizione assoluta alla propria arte.
Roberto Raviola nasceva a Bologna il 31 maggio di settantatre anni fa. Moriva il 5 febbraio del 1996, all’età di cinquantasette anni. Sarebbe ozioso chiedersi cosa avrebbe potuto fare ancora Magnus se fosse vissuto fino a oggi, se gli fossero stati concessi quegli anni in cui un artista può esaltare la forza potente della già conseguita maturità artistica. Una maturità che l’autore bolognese raggiunse ben presto, ma che raffinò fino a portarla oltre le soglie di una minuziosa precisione. Una soglia che altri autori, come Magnus educati nella scuola di strada del fumetto popolare (ovvero di largo consumo), magari potenzialmente altrettanto dotati, non intravidero neppure.
Una vita legata al fumetto popolare, quella del mago emiliano dell’immagine disegnata, il quale non volle mai tradire il proprio ruolo di illustratore umile e consacrato al popolo lettore, al pari di quegli anonimi straccioni che affrescarono i cartelloni dei cantastorie. Le caricature umoristiche di alcuni personaggi, sagome da vignette, sorprendentemente armonizzate con il contesto, anche quando lo stile del suo fumetto assumerà altissima maturità stilistica e forme e cadenze realistiche e drammatiche, sono indicatori della sua natura, orgogliosamente preservata, di illustratore popolare.
Non sappiamo moltissimo della giovinezza di Roberto Raviola, ma quel poco ci è sufficiente per immaginare un ritratto dell’artista da giovane.
Ancora prima di laurearsi, nel 1961, presso l’Accademia di Belle Arti, ancora al liceo, Roberto Raviola, appena adolescente, aveva preso a riprodurre i personaggi dei suoi fumetti e a farne degli altri. Molti erano belle fanciulle. Abbiamo testimonianza di queste figure che Raviola tratteggiava, prosperose e sensuali nonostante l’istintività del tratto ancora acerbo.
Con lo pseudonimo di Bob la volpe, il giovane puntava a sfondare nel mondo dell’illustrazione e della pubblicità, ma il suo vero amore, erano i «giornaletti». «Giornaletti», eh sì, perché siamo sicuri che così li chiamava Roberto Raviola, figlio del popolo. In quel tempo la parola «fumetto» la pronunciavano i figli di papà. I figli del popolo li chiamavano semplicemente giornaletti.
T.N.T. addio
Quando era arrivata celebrità e riconoscimenti forse anelati anni prima, Magnus li aveva buttati via, come si può abbandonare un mucchietto di abiti, eleganti ma inadeguati. Da allora rifuggì vaneggiamenti di facili successi e andò alla ricerca dell’abito che fosse più consono alla sua autentica indole artistica.
Il viaggio di ritorno scosse le mentalità dei benpensanti. Aveva abbandonato, nella seconda metà degli anni Settanta, Alan Ford, il fumetto che gli aveva dato sì fama ma anche lo aveva ridotto al ruolo di mero illustratore dello sceneggiatore Luciano Secchi (Max Bunker), inopinatamente arricchitosi di meriti non solo suoi.
La separazione resta una pagina ancora dolorosa per tutti gli amanti del fumetto, a ragione dell’ingratitudine che Magnus dovette subire.
Gli appassionati un po’ attempati (come chi scrive) non riescono ancora, a distanza di lustri, a dimenticare l’editoriale cattivo apparso sul n. 77 (1975) di Alan Ford, in cui si accusava Magnus di immoralità per avere abbandonato il personaggio preferendo di disegnare altrove fumetti pornografici («sconvenienti»). Che poi Maria Grazia Perini, firmataria di quel triste editoriale, a distanza di oltre trent’anni abbia sconfessato di avere mai scritto quelle parole (vedi: Le “MOLTE BRUTTE PAROLE” di Max Bunker, MGP in difesa di Sergio Bonelli, «Comicus Forum», Domenica, 25-Lug-2010, 11:57), lasciando intendere che la responsabilità andava addebitata tutta al co-autore di Alan Ford, la dice lunga sul nido di vipere presso cui il povero Raviola aveva coabitato per tanti anni, offrendo successo editoriale e fama a chi tanto malamente lo aveva poi ripagato.
Solo Magnus
Magnus, solitario e per di più pubblicamente infangato, provava a ripetere l’operazione fatta con Secchi agli inizi degli anni ’60, quando i fumetti cosiddetti “neri” avevano fatto irruzione in uno scenario che i più ritenevano ancora riserva di candidi fanciulli o di adulti insufficientemente maturi.
Raviola, in quello scorcio della seconda metà degli anni Settanta, propose delle immagini di una crudezza inaudita che la maggior parte dei lettori non fu in grado di interpretare correttamente. La svolta dell’artista fu collocata frettolosamente fra le forme dei fumetti cosiddetti erotico-pornografici che in quegli anni stavano godendo di un enorme quanto effimero successo.
Oggi, certo, sgomenta l’emarginazione che dovette subire l’autore bolognese per quella scelta, sicuramente non dettata dall’avidità, ma piuttosto dall’esigenza di riprendere autonomamente il proprio percorso artistico, libero dal vecchio sodalizio con Luciano Secchi, che si era trasformato in una insopportabile servitù.
Ed è curioso constatare come un altro autore, qualche anno dopo, ottenesse fama e successo e riconoscimenti internazionali, dedicandosi a quegli stessi temi per i quali Magnus fu pubblicamente esecrato. Parlo di Manara, ovviamente, già collocato in parallelo a Magnus in un’altra parte di questo speciale. Nel 1982, su «Playmen», parte la pubblicazione a puntate del racconto che segnerà la carriera futura di Manara: Il gioco. Negli stessi anni (dal 1981 al 1985) Magnus si dedica a Necron, un fumetto su testi di Ilaria Volpe, che diviene la conferma, per i suoi detrattori, della svendita del talento artistico del disegnatore di Alan Ford al redditizio mondo del fumetto porno. Il lavoro (13 numeri), ad avviso di chi scrive, è senza infamia e senza lode, ma è sicuramente impreziosito dall’impianto grafico dell’artista che fa il suo primo passo verso quelle linea chiara che esaminiamo con maggiore attenzione in un altro pezzo di questo speciale.
Magnus (ma non se ne accorge nessuno) in effetti sta procedendo in un percorso complicatissimo, condizionato da una maniacale ansia di perfezione nei confronti di quel che produce.
Il racconto di Manara si distingue per l’uso sapiente dell’erotismo, adoperato in dose massiccia ma sempre con la cautela di non sfiorare neppure i confini prossimi all’esibizione volgare. Magnus, viceversa, offre una visione della sessualità ancora morbosa e legata all’immaginario peccaminoso che risaliva al decennio precedente.
Quale artista, quale artigiano
Come in un chiasmo paradossale, in questi anni Ottanta i percorsi artistici di Manara e Magnus si giustappongono per correre verso strade esistenziali del tutto opposte.
Manara, a partire da Il gioco, abbandona le complicazioni stilistiche che aveva mutuato da Moebius e converte la sua linea in un segno chiaro che si avvale dei tratteggi solo quando risultano strettamente necessari, puntando la propria vigoria espressiva sulla linearità e l’eleganza. L’approccio giocoso nei confronti della sessualità, scevro di toni morbosi, il cesello elegante e senza pudori della bellezza dei corpi, la capacità di raccontare storie eccitante e coinvolgenti, saranno le qualità che faranno la fortuna di Manara.
Come autore Magnus complica le sue sceneggiature con una descrittività maniacale delle situazioni che fa da pendant all’estrema precisione del segno grafico.
La ricostruzione dell’operazione chirurgica che subisce Lo Sconosciuto (La Fata dell’Improvviso Risveglio («Orient Express» n. 10, aprile-maggio 1983) è sintomatica di questa ansia di descrivere, anche ciò che è più cruento e stomachevole, sin nei minimi particolari, sia dal punto di vista grafico che verbale, scrutando nell’interno il corpo del protagonista. Come se si volesse fornire un esasperato valore veristico, o forse per rivalutare, in questo caso, una inflazionata soluzione narrativa, quale quella del ritorno del protagonista ritenuto morto.
Più in generale, ci troviamo di fronte a uno stile narrativo estremamente complesso che tende a riprodurre la vita sin nei suoi minimi particolari. Moduli narrativi, quelli di Magnus, coerenti con l’esasperato dettaglio grafico che, a questo naturalismo di fondo, a questa rispondenza alla realtà, sacrificano la semplificazione narrativa che rende appassionante l’evento avventuroso.
Dall’altra, la capacità di Manara di cristallizzarsi in un segno semplice e riconoscibilissimo, l’abilità di produrre figurine graziose e sempre uguali, ne faranno un autore stereotipato, graditissimo all’industria commerciale. Restando nell’ambio dell’Art Noveau, Manara trova corrispondenza in Alfons Mucha, l’artista che massimamente trasferì la purezza del liberty in un immaginario popolare di grande successo.
Il Manara che, agli inizi della sua carriera, aveva espresso un reciso rifiuto ideologico nei confronti della mercificazione dell’arte, è rimasto totalmente avviluppato dalle lusinghe del denaro e colloca i suoi disegnetti, a caro prezzo, su qualunque tipo di prodotto di consumo (persino sui vibratori!). Il convinto assertore della «seriabilità» dell’opera d’arte, al fine della sua diffusione, è adesso il più strenuo difensore del proprio copyright.
Dall’altra parte c’è Magnus, forgiatore di prodotti artistici perfetti, meravigliosi ma con un che di sgradevolezza. Un vero Efeso che alla fucina riproduce la bellezza, ma in essa trasfonde anche la cupezza insita nel proprio corpo sgraziato.
Manara entra nel novero degli artisti coccolati dall’industria culturale, ma la sua vocazione, perduto il contatto con le espressioni più sincere e autentiche del lavoro del fumettista, non emoziona più.
Magnus rimarrà per tutti gli amanti del fumetto, invece, il nobile straccione, così simile ai personaggi che ha tratteggiato, artigiano e artista che produce per i suoi pari e che sacrificherà alle proprie creazioni la sua stessa vita.
Biografia
Magnus Dall’esordio con gli albi di Kriminal (1964) all’epilogo con la storia di Tex La valle del terrore (1996), Magnus ha attraversato (e spesso mescolato) il nero e il comico-grottesco, la spy-story e l’avventura, il giallo e la fantascienza, il fumetto giornalistico “di realtà” e la favola orientale, l’erotico e il pornografico, il folklore dell’Appennino emiliano e il western: una varietà impressionante di geografie e generi del racconto popolare, interpretato di volta in volta con altrettanta poliedricità di stili grafici. Un feuilleton lungo più di trent’anni, nel corso dei quali è rimasto autore sempre riconoscibile e amatissimo (dai lettori prima che dalla critica) nonostante i frequenti cambi di rotta. Kriminal, Satanik, Alan Ford e il gruppo Tnt, Lo Sconosciuto, I Briganti, La Compagnia della Forca, Milady, Le Femmine incantate, Tex: nella sua carriera i personaggi passano, ma su ognuno di loro, anche quelli non ideati ma “solo” disegnati da lui, resta impressa la firma di Magnus. Che l’autore trasformò non a caso, a un certo punto, nell’esagramma 56 dell’I Ching, il Libro cinese dei mutamenti: il simbolo che rappresenta il Viandante. Ovvero “colui che non smette di cercare”.
Al festival
Una grande mostra con 140 tavole originali, disegni, illustrazioni mai viste e documenti inediti, un libro e un film: tutto per ricordare e riscoprire Magnus, nome d’arte del bolognese Roberto Raviola (1939-1996), uno dei più grandi autori del fumetto italiano, nell’imminente ricorrenza del ventennale della morte.
L’esposizione si apre con 50 illustrazioni a colori, rarissime e mai prima d’ora esposte, realizzate da un giovanissimo Roberto Raviola all’inizio degli anni Sessanta per le collane di libri di favole per ragazzi della casa editrice Malipiero: dalle Mille e una Notte al Mago di Oz, fino alle storie e leggende regionali italiane. In questi lavori si possono già rintracciare le radici dell’immaginario di Magnus, in seguito disegnatore di alcuni tra i più popolari personaggi dei fumetti: Kriminal, Satanik, Alan Ford (su testi di Luciano Secchi, alias Max Bunker) e poi creatore di saghe come Lo Sconosciuto, I Briganti, Le Femmine incantate, fino all’ultimo leggendario Tex realizzato per l’editore Bonelli.
In esposizione si vedranno tavole originali, schizzi, bozzetti e copertine da I Briganti, La signora Ning, Le 110 Pillole, Lunario e Le Femmine incantate.
Cifra comune della vasta produzione di Magnus è la ricerca di un Altrove, la dimensione senza tempo dell’Avventura, dove portare il lettore con la potenza affabulatoria del disegno e del racconto («Bisognerebbe» diceva l’autore «scrivere con il compasso e disegnare col vocabolario»). Sempre in bilico tra un minuzioso realismo e la deformazione ironica del segno grottesco, nei suoi fumetti Magnus fa convivere in una sintesi perfetta mondi a volte lontanissimi.
In occasione della mostra usciranno anche un libro e un film.
Alessandro Editore pubblicherà il volume Magnus prima di Magnus. Gli anni dell’apprendistato di un maestro del fumetto, a cura di Luca Baldazzi, con decine di illustrazioni inedite, foto, documenti e saggi di Antonio Faeti, Luca Baldazzi, Fabio Gadducci e Michele Masini. Il volume, promosso dalla Fondazione del Monte, è stato realizzato con il sostegno di Hera.
Infine il film: il regista Paolo “Fiore” Angelini ha diretto e scritto Ho conosciuto Magnus, un progetto ABC Arte Bologna Cultura realizzato grazie al sostegno di Fondazione del Monte, Unicredit e Hera. Conversazioni, racconti, domande e impressioni di chi lo ha frequentato e conosciuto, un confronto in cui ciascuno racconta il “proprio” Magnus, cercando nell’incontro con gli altri risposte a domande sospese nel tempo. Il film verrà proiettato in anteprima in Cineteca a Bologna domenica 22 novembre.