Punk, fanzine, Berlino e femminismo. In conversazione con Ulli Lust
Ulli Lust è una fumettista austriaca che ormai da molto tempo vive e disegna a Berlino. L’incontro mancato al Bilbolbul, trasformatosi in questo breve scambio di battute per mail, invece che di persona, fa sì che l’immagine che avevo di lei resti quella che ho visto navigando in internet, di una donna eccentrica, con una bombetta in testa, una camicia e una lunga gonna nera sorretta da una grossa cintura di pelle. La immagino come una donna vissuta, ironica, sicura di sé al punto da non doverlo affermare ancora una volta, rifiutandosi di descrivere se stessa e la propria arte, come ha fatto a tratti anche in quest’intervista, lasciando che siano proprio i suoi disegni a parlare per lei. Ulli ha iniziato un nuovo viaggio lungo l’Italia per presentare la sua ultima opera, il graphic-novel autobiografico Troppo non è mai abbastanza, con la quale in Germania e Francia ha già riscosso notevole successo, accaparrandosi numerosi premi tra cui nel 2011 il Premio Artémisia e il Prix révélation del Festival International de la Bande Dessinée d’Angoulême.
1.Dunque, iniziamo con un brevissimo riassunto della tua vita e della tua carriera artistica: tu Ulli sei nata a Vienna, ma vivi ormai da molto tempo a Berlino, hai studiato moda e design, ma sei poi diventata una fumettista di successo. Cosa ti ha portato a questa trasformazione, a questo “spostamento” artistico oltre che geografico?
In realtà ho studiato moda e design in una scuola secondaria che però non ho concluso e per quanto io tutt’ora mi interessi di moda, mi risulta un’arte comunque troppo frenetica ed effimera al contempo, perché riesca a farne un lavoro. Ho quindi iniziato più tardi a occuparmi di “disegno narrativo”, di illustrazione e fumetto.
2. Il fumetto e la città di Berlino, due elementi che si incrociano costantemente nella tua vita, così come nella tua carriera. Iniziamo allora dal secondo: Berlino. Nelle tue opere, penso per esempio a Alltagsspionage, Trandverächter e Minireportagen aus Berlin, ti sei lasciata spesso ispirare dalla città. Come mai hai trovato proprio in Berlino la tua musa?
Il mio interesse principale, quando ho incominciato a disegnare fumetti, si rivolgeva in particolare all’esatta osservazione della vita quotidiana. Il fatto che la mia quotidianità si svolgesse proprio a Berlino è una vera e propria fortuna per una narratrice, dal momento che la ricchezza della storia della città e anche la vivacità del suo presente offrono davvero molti spunti. Quello che voglio dire è che, però, se fossi vissuta ad Amburgo, allora sarebbe stata Amburgo il soggetto dei miei disegni.
I contenuti, i temi e i protagonisti dei tuoi fumetti spezzano spesso, talvolta anche con aperte provocazioni, i tabù della nostra società (come droghe, sesso, prostituzione ecc.) e viene quasi spontaneo legare questa attitudine al tuo background legato alla cultura punk. Quando si pensa al punk si pensa a una “rottura”, nella società come nella musica o nell’arte, con l’ordine costituito. Cos’hanno allora in comune, secondo te, il fumetto e la cultura punk? Dov’è che si incontrano i loro linguaggi?
I temi delle mie opere li scelgo per la loro rilevanza nella contemporaneità, a volte scegliendo anche dei punti di vista drammatici. Anche se posso dire di essere stata “legata” alla cultura punk solo durante la mia adolescenza, ancora oggi subisco però il fascino delle sottoculture e di tutti quei movimenti che stanno ai margini della norma sociale. Penso che per un artista sia importante non vedere la vita sociale come qualcosa di predeterminato da una legge naturale, ma che va invece costantemente indagato e interrogato.
Nella cultura punk c’è poi il principio “do it yourself” e anch’io penso che quando si ha voglia di fare qualcosa, la si debba fare e basta… così quando ho iniziato a disegnare i mie fumetti, i miei libri li stampavo ancora da sola. Al contrario che nella letteratura, è piuttosto normale in ambito fumettistico che gli artisti si pubblichino autonomamente e questo atteggiamento non era malvisto all’epoca, anzi spesso lo si ammirava. Nell’ambiente punk ricordo che c’era poi la cultura delle Fanzine, ci si stampava e si distribuivano le proprie Fanzine, alcune di queste erano di fumetti e molti degli autori di oggi hanno iniziato proprio così. Io no… all’epoca pensavo che i miei disegni non valessero abbastanza.
Come detto, sei diventata una fumettista col tempo e solo dopo una serie di sperimentazioni artistiche in diversi ambiti. In un’interessante intervista che hai fatto per la radio tedesca dradio.de, hai detto che la maggiore forza della tua arte sta nella perfetta congiunzione tra parole e immagini. Cosa intendevi, ti andrebbe di spiegarcelo?
È probabile che intendessi dire che, anche se le mie capacità come disegnatrice sono limitate, unite al testo, strutturate in una sequenza narrativa, queste funzionano invece molto bene.
Prima di parlare del tuo ultimo graphic-novel, volevo chiederti ancora qualcosa riguardo agli altri interessanti progetti che hai promosso, penso in particolare al sito electrocomics.com. Qui non solo artisti di tutto il mondo hanno la possibilità di caricare e diffondere i loro disegni, ma dopo la lettura il pubblico è libero di dare un’offerta, a testimonianza dell’apprezzamento dell’opera. Come sei arrivata a quest’idea? Sei contenta dei risultati che hai ottenuto?
Electrocomics è un archivio digitale che curo personalmente, potremmo definirlo la mia collezione di farfalle che è però a disposizione di tutti. Quando creai la pagina nel 2005 non avrei mai pensato che sarebbe diventato un progetto così esteso e multisfaccettato, per questo sono molto contenta dei suoi sviluppi. All’inizio, come dici, avevo anche delle speranze economiche: se ogni lettore avesse dato una piccola offerta per i fumetti, secondo il modello dei Mikropayments, allora sarebbe nata una nuova piattaforma a disposizione dei fumettisti, al di là della pubblicazione su carta. Purtroppo però è venuto fuori che le persone pagano molto malvolentieri in internet, e proprio settimana scorsa ho eliminato la funzione per il pagamento. Ora guardo al sito come al mio personale contributo alla cultura internazionale “open source” (da non confondere con la “common property”, visto che nel mio caso i diritti rimangono ai rispettivi autori).
Com’è la scena del fumetto e delle case editrici indipendenti in Germania?
Devo dire che la situazione è migliorata molto negli ultimi anni, ci sono sempre più case editrici tradizionali che si interessano di fumetto, e parallelamente molte di quelle indipendenti sono cresciute. I giovani fumettisti capaci oggi riescono in ogni caso a trovare con chi pubblicare, mentre fino a dieci anni fa la situazione era molto diversa.
Ma arriviamo al centro della nostra intervista: il tuo graphic-novel Troppo non è mai abbastanza (Heute ist der letzte Tag vom Rest deines Lebens), un volume che ha già riscosso notevole successo presso la critica tedesca e francese, e che a partire dal 25 febbraio verrà distribuito in Italia da Coconino e Fandango. Diciamo che questa è la tua occasione di presentarlo, quasi in anteprima, al pubblico italiano. Quali sono secondo te i punti forti di questo fumetto autobiografico?
Devo essere sincera, mi risulta difficile giudicare il valore della mia stessa opera, preferisco che siano gli altri a farlo…
Cerchiamo di parlarne insieme allora. Innanzitutto narri la storia di due ragazze, di 17 e 18 anni, che partono verso l’Italia senza nulla di programmato: quelle ragazze siete tu e la tua amica Edi.
Il viaggio, iniziato inseguendo sogni di libertà e di indipendenza, si scontra però presto con la durezza, con l’orrore della vita reale. Pensi di essere riuscita, attraverso i tuoi disegni, a esorcizzare in qualche modo le orrorifiche esperienze del tuo passato?
Dopo quel viaggio, fatto ormai 25 anni fa, ho avuto modo di riflettere molto e di rielaborare quanto ho vissuto. Quello che può sembrare quasi assurdo è che quando ho iniziato a disegnare questo fumetto ho trovato da subito più piacere nel ridisegnare quelle esperienze spiacevoli, spaventose, perché per un autore sono quelle le più interessanti, non i momenti di fortuna e di serenità.
Con 25 anni di scarto, potevo insomma guardare al mio “io” di diciassettenne con una sana distanza e mi sono trovata spesso a scuotere la testa, rivedendo quanto naiv ero allora…
Sempre in una delle tue interviste, ho letto che per te è molto importante non lasciar trasparire dal tuo fumetto un’immagine di te come vittima. Qual era allora la tua idea, quando hai deciso di raccontare questa tua esperienza? E cos’è che condividono ancora la Ulli di oggi e quella del graphic-novel?
Se fossi stata costretta a vivere in una società patriarcale e maschilista, come quella che dominava allora nel Sud Italia, probabilmente ora sarei profondamente amareggiata e incredibilmente arrabbiata.
Oggi come allora vivo con una visione del mondo umanistica, in cui nessuno deve essere discriminato per la sua razza o per il suo sesso. Penso che ciò che non è mai cambiato sia il mio bisogno viscerale di libertà, che oggi riesco però a esprimere e colmare nello spazio della mia arte. Un tempo amavo viaggiare, dormire all’aria aperta e guardare il cielo sopra di me mentre mi addormentavo; oggi invece preferisco stare a casa, sul mio tavolo da disegno. Viaggio nella mia immaginazione, e penso che non farei che lamentarmi e lanciare maledizioni se dovessi dormire col sacco a pelo su un pavimento duro.
Ci avviciniamo ormai alla fine della nostra intervista, Ulli. Il viaggio che racconti ha avuto luogo proprio in Italia e ora, più di vent’anni dopo, ne stai iniziando uno nuovo che dal Bilbolbul di Bologna ti porterà verso il Sud Italia. Con il tuo libro in tasca, viaggerai e parlerai del tuo giovane passato con la consapevolezza di oggi, di una donna. Quali sono le tue aspettative, se ne hai?
Innanzitutto sono contenta di disegnare, del buon cibo e delle persone gentili che incontrerò. Ho anche molti amici artisti che sono italiani e che mi farà piacere incontrare lungo il cammino.
In realtà non sento alcun bisogno di parlare ancora del libro, tutto quello che c’era da dire è già racchiuso nel fumetto stesso. Quello che posso aggiungere è che non mi aspetto che il libro eserciti una qualche funzione pedagogica per qualche stupido sciovinista. Ma penserò ancora a questa domanda, domani. Magari mi verrà in mente qualcos’altro da aggiungere…