“Vite nella storia, specchi di diversità”: incontro con Isabel Kreitz

“Vite nella storia, specchi di diversità”: incontro con Isabel Kreitz

Isabelle Kreitz nel suo ultimo lavoro ha scelto di raccontare l’agghiacciante storia del serial killer Fritz Haarmann, degenerazione della Germania weimariana. Ha discusso con il giornalista e scrittore Vittorio Giacopini il labile confine che separa follia e normalità, individuo e storia.

Vittorio Giacopini: La Black Velvet ha pubblicato in Italia  tre romanzi a fumetti di Isabel Kreitz La scoperta di Currywurst, La storia di Sorge e Haarmann. Tutti e tre sono caratterizzati dal fatto di avere la capacità di raccontare la storia con piccoli eventi o figure laterali ma simboliche e di grosso impatto. Storie “minori” che ci introducono alla “grande storia” La scoperta di Currywurst racconta la storia di una ricetta che nasce in un chiosco di hamburger, La storia di Sorge racconta invece la storia di una spia mandata da Stalin a vivere in Giappone nell’ambasciata tedesca un ubriacone, un donnaiolo, un personaggio eccessivo. Haarmann invece racconta la storia di un serial killer, che è descritto anche nel film “M il mostro di Dusseldorf”. Le tre storie si collocano in Germania in un vasto periodo che va dal primo al secondo dopo guerra.

Quello che vorrei chiedere all’autrice è se queste tre storie fanno parte di un suo più ampio progetto, in un tentativo di raccontare la storia del suo paese?
Non è che avessi un’idea ben precisa quando ho realizzato questi tre fumetti, ma credo che faccia parte di tutta la mia generazione cercare di andare a scoprire proprio il periodo che ha rappresentato un frattura nella storia della Germania, è per questo che ho scelto di raccontare eventi  legati a quel periodo. Quando ero bambina chiedevo ai miei genitori e ai miei nonni di raccontarmi cos’era successo ma per loro quello era un capitolo chiuso da dimenticare e per questo ho iniziato a informarmi su questa epoca. Nei miei fumetti cerco di integrare o ricreare le immagini che la mia generazione non ha potuto vedere con i suoi occhi.

Haarmann è ambientato prima della seconda guerra mondiale è la “preistoria” di quello che sarebbe accaduto, in seguito. Nella prima parte si racconta come ad Hannover si scopre l’emergenza di questo problema, viene dragato il fiume perché qualcuno ha pescato delle ossa, si scoprono i cadaveri di decine di persone. La cosa affascinante è che Isabel Kreitz racconta la storia scegliendo una terra di nessuno dove le esistenze individuali e gli eventi collettivi si sfiorano e si incontrano. Haarmann non è la storia di un serial killer è la storia di un tessuto sociale che viene modificato da un evento. Il vero protagonista è la povertà e il mercato nero come sopravvivenza obbligata. Haarmann infatti sopravvive vendendo i vestiti delle vittime e la loro carne, è un macellaio.

Sicuramente l’epoca, il periodo tra le due guerre mondiali è stato un periodo di svolta, dove la criminologia le tecniche per risolvere i delitti hanno fatto enormi passi avanti, il caso Haarmann era uno dei primissimi che la polizia cercava di risolvere con stratagemmi psicologici, entrando nella mente del killer, è un caso esemplare. E’ anche una storia di “connivenza” da parte di tutti. All’inizio tutti facevano finta di niente di non sapere nonostante alcune evidenti anomalie. Dopo la condanna tutti volevano essere partecipi nel dire di essere stati i primi a scoprire l’omicida. Non è un caso che si distingue molto dai casi di violenza che conosciamo ogni giorno

Haarmann è il anche racconto della società come reticenza. È uno dei primi casi risolti con metodologie scientifiche, ma l’elemento poliziesco è in secondo piano. Per capire appieno questo fumetto si dovrebbe leggere l’opera di Karl Krauss le sue riflessioni tra normalità e follia. Haarmann era un informatore della polizia, aveva un tesserino con cui poteva spacciarsi come poliziotto. La cosa che mi ha colpito (anche per La storia di Sorge) è a descrizione della società come autoinganno, era facile capire chi era il serial killer ma si negava. Anche Sorge era la più probabile spie, un giornalista che lavorava a Tokyo amico dell’ambasciatore tedesco, quando è ubriaco inneggia a Stalin ma nessuno si accorge che è lui che passa informazioni riservate, la gente non vuole vedere. I lavori di Isabel esplorano proprio questo elemento di ambiguità, reticenza e autoinganno che risiede su alcuni rapporti sociali
Effettivamente nei miei fumetti spesso sono più interessata ai personaggi secondari che ai protagonisti, cerco di trasporre la mentalità dell’epoca ai giorni nostri chiedendomi cosa avrei fatto io in quella situazione, se avessi superato la soglia di connivenza per cercare di reagire. Mi sono chiesta cosa avrei fatto io se fossi stato l’ambasciatore a Tokyo se avessi avuto il coraggio di prendere posizione contro Hitler e contro il Nazismo. E’ questa la domanda che si pone la mia generazione che cosa avremmo fatto noi rispetto ai nostri genitori e nonni.

I  personaggi sono il vero motore delle storie. La grande intuizione di Isabel è che si può partire da un dettaglio secondario per ricostruire tutto un mondo. E’ importante il rapporto tra presente e passato, il narratore torna sul luogo delle sue memorie e si chiede che storia c’è dietro a un oggetto. Il fumetto riesce nel miracolo di ridare la visibilità al passato. Un importante collante sociale nelle storie di Kreitz è anche il mercato nero, la ricerca del cibo.
Una cosa che mi ha sempre affascinato e che tratto spesso è il cibo. Dopo la seconda guerra mondiale tutti si chiedevano dove o come trovare qualcosa da mangiare, questa è stata anche la mia infanzia. Mia nonna non riusciva a buttare via nessun avanzo di cibo. Sono cresciuta con la sensazione di un’intera generazione che si chiedeva come fare a sopravvivere giorno per giorno

Anche nei romanzi di Boll i grandi oggetti simbolici sono due il pane (la pagnotta) e la sigaretta che funge da elemento di scambio. Una grande attenzione al dettaglio materiale. Volevo chiedere a Isabel come fa a ricostruire gli ambienti.
Diciamo che i tre romanzi pubblicati in Italia mostrano anche lo sviluppo della mia tecnica. Il curry è stato disegnato nel 1997 dopo aver realizzato altri libri su Amburgo la mia città natale. In quegli anni pensavo di poter disegnare solo un ambiente che conoscevo bene, ci sono differenza con l’epoca che descrivo nel fumetto ma le immagini di archivio sono tantissime. Nel caso di Sorge ho fatto un passo ulteriore, infatti per la prima volta ho deciso di calarmi in paesaggi che non avevo mai visto e mi sono affidata a foto in bianco e nero di Tokyo. Harmann è stato un “ritorno a casa”, è stato tutto più facile.

Sulla storia di Haarmann sono stati fatti alcuni film importanti tra cui quello di Fritz Lang, ma anche un film italiano degli anni ’70 “Lo strangolatore di Vienna”. Mi sembra che la capacità narrativa di Isabel non sia influenzata dal cinema, è una tecnica tutta diversa, più fotografica con cui il cinema c’entra poco. Cosa ne pensi?
Sono colpita perché pensavo di avere uno stile molto cinematografico e poco letterario. Magari possiamo trovare un compromesso, diciamo che i miei fumetti ricordano i film muti che cercano di sopperire a qualcosa che manca cioè il suono. Io metto sempre in primo piano le immagini e aggiungo le parole solo quando le immagini non riescono a raccontare tutto, in particolare le emozioni interiori dei personaggi.

Infatti in Sorge ci sono pagine e pagine in cui si parla in giapponese, ma torna perfettamente, si capisce tutto benissimo. Il linguaggio è funzionale al racconto, c’è un controllo perfetto del meccanismo narrativo.
Effettivamente questo è stato per me molto importante. Ho deciso di mantenere la lingua giapponese ma traducendola con i caratteri alfabetici occidentali. Dalle immagini esce un suono, come una colonna sonora, è un “sound giapponese” che se avessi mantenuto i caratteri giapponesi non si sarebbe potuto decifrare.

Una cosa che mi ha colpito è che tu riesci senza essere mai sdolcinata a raccontare delle storie d’amore senza romanticismo.
Sicuramente nel caso di Sorge è una storia d’amore senza romanticismo perché lui voleva solo distrarre l’attenzione dalla sua attività di spia, nella relazione con la musicista anche lei ha un secondo fine, per cui la storia tra i due era un tornaconto, un rapporto razionale basato su secondi fini, interessi comuni. Ho voluto lasciar trasparire che non fosse un amore disinteressato. Descrive bene anche l’ambiguità del personaggio che sfrutta tutti coloro che lo circondano ma non si accorge che loro sfruttano lui. Dopo essere stato scoperto Sorge vede sgretolarsi la sua rete di presunti amici, tutti si vergognano di averlo conosciuto.

In Sorge c’è un elemento molto forte, la storia parte da una rimozione, un atto mancato. Lui sarebbe potuto essere la più grande spia se gli avessero dato retta, infatti segnala la decisione tedesca di invadere la Russia ma Stalin non gli crede. Isabel Kreitz racconta la storia nonostante la storia, personaggi che non riescono a incidere sulla storia, ne vengono travolti.
Si, è una delle mie principali intenzioni, non rappresentare i protagonisti della storia o i grandi eventi ma cercare di capire cosa facevano le persone come io e voi.

Haarmann: quanto ti è costato in termini di tempo per tutta la ricerca e lavoro successivo?
Haarmann è un caso a se stante perché per la prima volta ho collaborato con uno sceneggiatore che aveva già fatto tutto il lavoro di ricerca e a me restava solo da creare le immagini. Nonostante questo mi ci sono voluti solo 15 mesi per la realizzazione delle immagini  più altri 2-3 mesi di ricerca. Per Sorge 8 mesi solo di ricerca, avevo una bibliografia lunghissima. Quasi tutti quelli che lo hanno conosciuto hanno pubblicato una biografia e ci sono molte registrazioni audio su di lui. Chi lo conosceva ha lasciato tantissimo e tramite loro sono arrivata alla storia. Spero per il futuro di scrivere autonomamente e non realizzare fumetti su storie già esistenti

Che cosa vuoi raccontare adesso? La contemporaneità o il passato?
Continuo ad essere affascinata dal passato e dalla trasposizione del passato ai giorni nostri. Un’epoca che non ho vissuto ma che fa parte dei miei ricordi e del mio retaggio culturale. Mi piacerebbe andare ancora più indietro nel tempo all’alba della rivoluzione francese epoca di cui non abbiamo fotografie, la ricostruzione sarebbe su pitture, acqueforti.

Come costruisci le tue tavole. Ci sono più passaggi?
Lavoro in tre fasi, una tripartizione ripresa dalla tradizione americana. La fase più importante è la prima in cui butto giù lo storyboard dalla a alla z su piccoli fogli 3 per 5 con cui strutturo l’intero fumetto. Costruisco un film che già si può leggere. Dopo si tratta solo di riportare le immagini dalla bruta copia alla bella.

Isabel Kreitz “Haarmann”
1-25 marzo
Hotel Roma, Bologna

 

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