A far la spesa con Francesca Ghermandi (Daniele Barbieri)

A far la spesa con Francesca Ghermandi (Daniele Barbieri)

Per diversi anni ho incrociato con frequenza Francesca Ghermandi alla Coop, poi lei si è trasferita, e non siamo stati più vicini di casa. Peccato. Ci si incontra lo stesso ma più raramente, e in circostanze meno fortuite. Il bello dell’incontrarsi alla Coop è che ciascuno è del tutto destrutturato, rispetto al proprio ruolo pubblico. Francesca ha sempre un’aria un po’ persa, come se stesse passando per caso da questo mondo venendo (e presto tornando) da quello in cui vive. Anch’io, d’altra parte, ho certamente un’aria poco seria, tra cavoli, formaggi e detersivi.

Se penso alla Francesca e alla Coop non posso fare a meno di immaginarmi come la Coop apparirebbe in qualche suo disegno. Probabilmente è così perché in effetti la Coop (o qualcosa di molto simile) di fatto ci appare, nei suoi disegni. Le storie che Francesca inventa hanno di solito come sfondo la quotidianità, e persino quando l’ambientazione è fantascientifica ci troviamo di fronte a un futuro con case, soprammobili, spesa e supermercati.

Ma il legame di Francesca con quella che riteniamo sia la normalità finisce qui. Le sue storie sono piene di cose, di luoghi e personaggi che sono, sì, quelli del quotidiano, ma non gli assomigliano affatto; o meglio, gli assomigliano a sufficienza per riconoscerli come tali, salvo che, in verità, tutto è storto, sghembo, curvo, brutto, deforme. Le storie di Francesca costruiscono altrettante inquietanti e sardoniche parodie della normalità; fanno ridere mentre mettono i brividi, fanno paura mentre stai ridendo.

In principio chi c’era? Hiawata Pete, mi sembra. Non è proprio l’inizio, ma è il primo personaggio ricorrente, tra l’87 e il ’93, un papero deficiente in un futuro demenziale, una sorta di Donald Duck espressionista, che si muove in vignette fitte di particolari e di oggetti, degne dell’horror vacui di Jacovitti. Non ha già solo un segno particolarissimo, geniale, Francesca, ma anche una capacità ugualmente unica di gestire il ritmo delle sue strisce, capace di costruire dei crescendo di parossismo a partire da eventi ridicolmente irrilevanti – proprio come quando, in un sogno che degenera in un incubo, quello che ci era apparso un compito facile facile incontra ostacoli su ostacoli, sino all’angosciato risveglio.

E poi Joe IndianaHelter Skelter (1991-97) sposta i deliri ancora di più verso l’horror, ancora di più verso l’eccesso. Non è facile mantenere tanto a lungo, per così tanto tempo, questi andamenti così estremi, senza ripetersi o stancare.

A cavallo del millennio c’è Pastil (o Pasticca), protagonista una bambina dalla testa piatta come un pastiglia, che vive in un mondo degno di lei, traboccante di orrori infantili. E poi, ma giusto per ricordare solo le cose più importanti, le distopie di Grenuord (2005) e di Cronache dalla palude (2010). In questi ultimi lavori, i personaggi acquistano anche un certo spessore psicologico, che è a sua volta occasione di esasperazione e paradosso: le trame si complicano, si aggrovigliano, acquistano strutture che potrebbero venire rappresentate con le stesse linee contorte delle figure.

A proposito di linee, quelle della Ghermandi sono di una semplicità esemplare, in verità, rotondeggianti e chiuse come quelle dei personaggi di Walt Disney, o in generale del fumetto per bambini. Solo che, al di là di quello che mettono in scena, le curve stesse di queste linee iniziano già a impostare quel senso di disagio che poi ritroviamo dappertutto. Sono linee spesse e curve, come ci si aspetta dai fumetti per bambini; e però è come se gli spessori e le curve fossero quelli sbagliati, sistematicamente sbagliati. Non più fumetti per bambini, è evidente – però ancora in qualche modo sì. Fumetti per adulti che rivivono un’infanzia a cui è stata tolta l’innocenza; ma non proprio del tutto…

Cosa vede Francesca, con la sua aria svagata, quando ci si incrocia alla Coop? Per essere una che è capace di visioni simili, in realtà, dovrei riconoscerla come sin troppo presente, sin troppo con i piedi per terra.
Probabilmente è lei, alla Coop come altrove, che vede quello che io non riesco a vedere.
Ma quello che è straordinario è poi come sappia rivelarmelo, farlo vedere anche a me.

Avendo letto tutte le sue storie, sono un po’ inquieto, a volte, alla Coop, anche adesso che non la incontro più così spesso.

 

6 Comments

  1. edo chieregato · 14 febbraio 2012

    Caro Daniele,
    devi andare all’Ipercoop… con Francesca ci siamo stati anche la settimana scorsa, prima di chiuderci dentro il suo studio, un abbraccio e grazie del contributo,
    edo

    • Daniele Barbieri · 14 febbraio 2012

      No, all’Ipercoop no!
      Il problema è che per me l’Ipercoop è già un incubo alla Ghermandi. Credo che non potrei chiacchierare piacevolmente né con lei né con nessuno. Immagina di vivere dentro Grenuord: a me l’Ipercoop fa quell’effetto lì.
      🙂

  2. È uscito un mio post su Francesca Ghermandi sul blog di Bilbolbul « Eventi di Daniele Barbieri – miniblog di servizio · 15 febbraio 2012

    […] il post “A far la spesa con Francesca Ghermandi” sul blog di Bilbolbul. Ecco il link: http://archivio.bilbolbul.net/blog/?p=2427 Share this:TwitterFacebookLike this:LikeBe the first to like this post. Categories: Post su […]

  3. paola · 27 febbraio 2012

    Caro Daniele, il tuo post mi ha fatto sorridere. Francesca Ghermandi ha anche disegnato la Coop: qualche anno fa le abbiamo chiesto di illustrare l’opuscolo che sintetizza l’indagine di clima tra i dipendenti. Ha realizzato disegni deliziosi, divertenti e poetici, che raffigurano negozi e dipendenti!

  4. Bilbolbul 2012 – La mostra di Francesca Ghermandi · 2 marzo 2012

    […] La mostra è un appuntamento imperdibile per gli appassionati di fumetto e di illustrazione e per chi ama le “vignette fitte di particolari e di oggetti, degne dell’horror vacui di Jacovitti”, come scrive Daniele Barbieri […]

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