Marco Ficarra, la storia e la famiglia
Stalag XB è un libro che racconta un pezzo di storia sia della tua famiglia che di una pagina tragica dell’umanità, parlare di questi argomenti deve aver richiesto molta documentazione, sia tra i libri di storia che in famiglia. Come si è sviluppato il lavoro? Quanto tempo ha richiesto?
Questa storia è nata per casualità, quando dopo sessant’anni sono state tirate fuori da un cassetto le lettere di Gioacchino Virga, mio parente, che inviava dal campo di concentramento alla famiglia. Già dalla prima lettura pensai di raccontare quella storia, così ho approfondito l’argomento che disconoscevo totalmente. Ci sono voluti due anni e mezzo per arrivare alla pubblicazione del libro. E’ stato necessario raccogliere molte informazioni storiche. Il periodo della seconda guerra mondiale in Italia è ancora una ferita aperta e a volte capita di ascoltare importanti cariche istituzionali esprimere giudizi confusi sul periodo.
Nella tua famiglia quali sono state le reazioni iniziali e finali al libro?
Da parte della mia famiglia c’è stato pieno sostegno da subito, loro anno creduto molto in quello che stavo facendo e l’idea di recuperare un pezzo di storia familiare anche con un certo risvolto storicopolitico li ha resi partecipi nel recuperare informazioni utili fino ad una collaborazione attiva nella fase della trascrizione delle lettere, nella correzione dei testi e con tanti consigli. Loro come me hanno scoperto una storia che non immaginavano fosse così importante, mi riferisco ai soldati italiani che rifiutarono l’adesione alle forze nazifasciste preferendo il lager. Difatto un pezzo importante della resistenza italiana.
Il tuo segno è molto originale ed ispirato. Puoi descrivere la tua tecnica?
Devo dire che i primi disegni avevano un bianco e nero netto e un disegno più definito, poi però provando con la china acquarellata ho pensato di dare maggiore intensità al segno. Sentivo il bisogno di immergermi nella storia, a volte non partivo dal disegno, bagnavo i fogli di acqua appena macchiata di inchiostro e poi provavo a tirarne fuori il segno, a volte ero più deciso sul disegno e le pennellate erano più ordinate. Diciamo che seguivano il mio umore che procedeva con quello della storia. I disegni sono molto influenzati dalla mia visione, credo di poter dire che per me questo modo di disegnare è la giusta sintesi tra ciò che penso e ciò che vedo.
Che idea avevi della storia prima di scriverla, e quale dopo averla scritta?
All’inizio pensavo di dover raccontare tantissime vicende storiche e di vita quotidiana, che dovevano dare al lettore il senso di quella storia. Poi mi sono reso conto che stavo per non raccontare nulla, stavo creando una lista molto didascalica di avvenimenti. Così mi sono deciso a concentrare l’attenzione sulla scelta degli internati militari italiani di non aderire alla Repubblica Sociale Italiana. Adesso credo di avere raccontato una storia profondamente importante e ancora oggi poco conosciuta. Qualche mese dopo la pubblicazione del mio libro è uscito un importante libro dell’Einaudi di due storici, Palmieri e Avagliano, che sono sulla stessa mia lunghezza d’onda rispetto alla vicenda dei militari italiani e questo mi ha fatto molto piacere. Inoltre il confronto con Luca Alessandrini direttore dell’Istituto Storico Parri di Bologna mi dava molta sicurezza.
Il tono della scrittura è sobrio, quasi distaccato: è una scelta che ricorre in molti autori che hanno affrontato quel periodo e vicende simili, quasi segnale del timore che l’enfasi rischi il grottesco e sia comunque inappropriata a rendere simili storie. Come è nata la sua scelta di registro emotivo?
Sono state due le motivazioni che mi hanno fatto scegliere questo registro narrativo, per primo stavo raccontando la storia di un mio parente morto in un campo di concentramento per la fame e il freddo e quindi sentivo la necessità di gestire il dolore con molto rispetto soprattutto verso la sorella che non volevo ferire in nessun modo. Poi l’altro motivo è che non volevo costruire eroi, quella degli IMI è una storia complessa e il rischio di banalizzarla era enorme. Per me quella storia va compresa bene. In questa vicenda ci sono tanti elementi irrisolti della storia dell’Italia del dopoguerra che ci trasciniamo ancora oggi. Prima tra tutti dobbiamo comprendere il perché della rimozione di questo pezzo della resistenza italiana.
Stalag XB è distribuito sotto licenza Creative Commons: quali sono le tue ragioni?
Sono convinto che più si creano momenti di condivisione delle idee più si aiuta l’editoria e in genere la produzione culturale.
Come hai scelto lo stile grafico? Sei soddisfatto della sua resa?
Lo stile grafico mi è venuto molto spontaneo, mi sembrava molto coerente con i disegni, ho usato i bordi neri solo per la parte iniziale e finale perché fosse chiaro che si trattava di uno stesso momento narrativo, poi però non volevo appesantire il resto del racconto e ho lasciato un po’ do bianco. Sono molto contento del risultato, non ho nessun alibi, anche la stampa, la carta e la confezione finale del libro mi piacciono, se ci sono cose che non vanno sono tutte per colpa mia.