Angel De La Calle parla di Modotti
Vorremo iniziare questa intervista partendo dal tuo fumetto pubblicato in Italia dalla 001, Modotti, anche perché molti lettori magari ancora non conoscono il libro. Per quale motivo hai pensato di costruire un’opera così complessa, sia narrativamente che biograficamente, su un personaggio del genere?
Semplicemente perché mi ha sempre affascinato la personalità di Tina Modotti. E questo perché una delle sue fotografie è stata la più pagata della storia: nel 1995 in un’asta di Sotheby sono stati pagati 165.000 dollari per un suo scatto di dimensioni 12x8cm.
L’ha comprata la proprietaria della marca d’abbigliamento Esprit, perché era la fotografia di una donna e di una femminista. L’ha comprata perché la fotografia si chiamava “Rosas Mexico”, perché il Messico è un paese esotico e perché Tina Modotti era un’agente del Comintern. Una comunista degli anni ’30, ma nel 1995, l’anno in cui venne messa all’asta la fotografia, il mondo socialista non esisteva più. Tutta questo insieme di cose è glamour.
C’è poi tutta una storia legata alle foto della Modotti che si trovano al MoMa. Nel 1950 un uomo andò al MoMa di New York e consegnò al direttore del museo una busta a patto che nessuno sapesse mai chi gliela avesse data. Il direttore del MoMa, che si chiamava Renè Danoncourt, aprì la busta e trovò all’interno delle fotografie di Tina Modotti. Sapeva che erano sue perché l’aveva conosciuta negli anni ’20 in Messico, quando lui era un collezionista che si dedicava all’acquisto di quadri. Quelle che trovò nella busta sono le 30 foto che oggi possiamo ammirare al MoMa.
Ma per capire meglio la vicenda dobbiamo contestualizzarla. Siamo nel 1950 in pieno clima di caccia alle streghe, c’è il Maccartismo e per questo il tizio che possedeva queste foto ha voluto sbarazzarsene e ha preteso l’anonimato: se gliele avessero trovate in possesso l’avrebbero senza dubbio inquisito come comunista e gli scatti sarebbero stati usati come prova schiacciante contro di lui.
E’ singolare che nel 1995 la foto di una donna, comunista, scattata in un posto esotico venga considerata glamour, mentre nel 1950 le foto della stessa donna potevano essere ritenute pericolose. Come non può affascinare una storia del genere?
Un’altra spinta a occuparmi di questa figura l’ho avuta leggendo un libro in Messico riguardo alla morte di Trotzkij, alla curiosa coppia formata da Vittorio Vidali, agente del Comintern, e l’esotica avventuriera Tina Modotti. L’espressione “esotica avventuriera” mi ha conquistato.
Quindi tu da questo libro hai conosciuto il personaggio, avuto lo spunto…
Volevo rispondere a una domanda: perché Tina Modotti negli ultimi dieci anni della sua vita non ha più posseduto una macchina fotografica? Questa è la domanda che volevo farmi perché io stesso, che sono un disegnatore di fumetti, da dieci anni stavo facendo solo disegno grafico, molto ben pagato, ma non ero più tornato a fare fumetti. Però sapevo che se avessi risposto a questa domanda su Tina Modotti, cioè perché nei sui ultimi dieci anni non scattò neanche una fotografia, avrei capito anche perché io non avevo più fatto fumetti. Mi sono risposto e ho capito che avrei dovuto cambiare stile. Prima ero iperrealista fotografico e adesso guardate il mio fumetto.
Iperrealista sull’onda di Heavy Metal e queste cose?
Si, i miei fumetti venivano pubblicati su Metàl Hurlant e funzionavano molto bene, ma all’improvviso mi sono ritrovato a fare solo illustrazione. Però io sono un disegnatore di fumetti e anche quando non disegno fumetti mi sento tale.
Questa motivazione c’entra con il fatto che all’interno del tuo libro racconti te stesso?
Sì, perché mi resi conto che se non avessi raccontato la mia storia, allo stesso modo non avrei potuto raccontare quella di Tina Modotti. Ho letto due libri: Maus, che è la storia di un figlio che parla con suo padre. Non è la storia che racconta il padre, è anche la storia di un uomo nel campo di sterminio, però fondamentalmente sono un padre e un figlio che parlano. Questa è la cosa più importante, perché il figlio vede come suo padre e racconta come suo padre. E l’altro libro è il fumetto autobiografico di Eddie Campbell, intitolato How to be an Artist.
E’ molto interessante. Racconta la storia del fumetto in Inghilterra negli anni ’80, vista da uno dei creatori della biografia del fumetto e a me mi interessa molto. Racconta la sua esperienza. E allora ho visto e ho capito che graficamente non ci accomunava nulla, ma quello che importava veramente era la forma del racconto. Infatti è questo che differenzia un autore da un altro.
Il linguaggio…
Il linguaggio è fondamentale. Il linguaggio dei fumetti è meraviglioso, mi sembra veramente adatto al ventunesimo secolo. Anche perché è ancora inesplorato: veniamo da 100 anni in cui non si è fatto nulla praticamente…Però va bene, nemmeno nel romanzo è stato fatto niente.
Hai visto il film Frida?
Si, l’ho visto, ma non penso che sia fedele la rappresentazione di Tina Modotti, che non poteva vestirsi così in quegli anni, mai con quei costumi.
Viene fuori una Tina Modotti molto vamp, molto glamour…
Tina Modotti presentò Frida Kahlo a Diego Rivera diversamente da come si vede nel film. Tina Modotti era una grande donna per i comunisti messicani. Negli anni ’20 il partito comunista messicano venne fondato da un indù, due italiani, uno spagnolo, un austriaco, un tedesco e il segretario generale era un nordamericano, agente del FBI. Non c’era un solo messicano, non c’è un messicano fino all’arrivo di Torres. Questo era il partito comunista messicano.
Ma lei era bella e si vestiva come si vestivano tutte le ragazze della gioventù comunista. Frida Kahlo imitò Tina Modotti dopo aver visto come si vestiva, non come si vede nel film.
Prendiamo Diego Rivera: beveva solo acqua. E il paradosso è che se non si vede un latinoamericano con una bottiglia di tequila in mano nessuno capisce che è messicano. Come dire che un italiano non è un italiano senza la pizza o gli spaghetti.
Perché alla fine del secondo libro racconti che vai a cercare la via Tina Modotti a Gijòn?
C’è una storia dietro questo. La principale associazione femminista di Gijòn si accorse che solo il tre per cento delle vie della città portavano nomi di donne. Capitò che mi proposero di disegnare un depliant nel quale elencare i nomi di alcune donne alle quali poteva essere intitolata una strada e questa associazione ne aveva individuate 27. Solo che io ho detto che, per il disegno, sarebbe stato meglio se fossero state 28. E loro mi hanno chiesto: “Hai in mente qualcuna da aggiungere?”. E io ho risposto subito: “Tina Modotti!”. Mi hanno chiesto chi fosse e io ho spiegato che era una fotografa che aveva abitato nelle Asturie. Allora mi chiesero di farne una biografia e l’ho fatto. Probabilmente quello è stato il peggior disegno che abbia mai fatto in tutta la mia vita. I miei disegni in genere sono belli, ma quello era brutto, brutto. Ma lo distribuirono ugualmente. Dieci anni dopo divenne sindaco di Gijòn un membro di questa associazione e, detenendo il potere politico, la prima decisione che prese fu quella di intitolare a tutte le donne presenti in quel disegno una strada. E siccome in quell’elenco c’era anche Tina Modotti, ebbe intitolata una strada che io non ho mai visto. Come racconto nel libro, sono stato invece in Messico a vedere la tomba di Tina Modotti.
Parliamo della tua attività di critico e di storico del fumetto. So che sei stato animatore di una rivista chiamata Dentro la vignetta.
In questo momento non la stiamo pubblicando. Tutte le persone che la facevano ora sono molto impegnate da altre cose. Facevamo interviste e critica e la dirigevo con Jorge Ivan Argiz, col quale dirigo anche le Jornadas Internacionales del Comics di Villa de Avilés.
Abbiamo fatto questa rivista perché c’è stato un momento in cui il fumetto in Spagna era scomparso. La rivista parlava solo di cose che ci piacevano, se non ci piacevano non ne parlavamo. Proprio per amore di questo linguaggio. Se il fumetto fosse conosciuto come il cinema se ne potrebbe parlare male, perché che importa dire, per esempio, che Robert Redford è un cattivo attore? Non importa nulla, ma puoi farlo. Se tu dici che un autore che esordisce non è bravo, lo hai stroncato, ma la tua critica non ha portato a niente. Per diffondere il linguaggio abbiamo quindi pensato di cercare le opere migliori e parlare di quelle…
Ma oltre ad essere un autore, ti senti più un critico o uno studioso del fumetto?
Io non faccio critica, io studio e parlo solo di cose che mi piacciono. Ho fatto un libro sull’Uomo Mascherato, l’eroe della mia infanzia, tanto che ho letto tutto il lavoro di Lee Falk: 2000 pagine per 5 strisce. Analogamente ho scritto un libro su Hugo Pratt, uno su Lorenzo Mattotti, un altro su Bill Sienkiewicz. Sono monografie dove si parla dell’opera e dell’autore. Nella rivista ci sono invece anche interviste, novità, recensioni e studi sui personaggi.
Parlate di autori spagnoli o internazionali?
Parliamo di tutti. Ricordo che fra gli italiani abbiamo parlato di Martin Mystere e Dylan Dog; e poi, per esempio, abbiamo intervistato Milo Manara nel numero 2 della rivista.
Come sta il mercato del fumetto in Spagna?
E’ un buon momento per il fumetto spagnolo, soprattutto per merito di una potente casa di distribuzione che fa arrivare i fumetti da tutte le parti. Si chiama SD. Si prendono il tuo libro e lo distribuiscono in tutte le librerie e nei grandi centri commerciali. Anche Planeta ha il suo distributore che funziona molto bene e la Panini addirittura ne sfrutta due: la SD e un altro per le edicole. Credo che sia per questo che il fumetto spagnolo funzioni meglio dell’italiano per il quale, per quello che ho sentito quando sono stato qui l’anno scorso e a Napoli al Comicon, il primo problema è proprio la distribuzione, che è molto complicata.
Questo e la mancanza di nuovi progetti da parte dei grossi editori.
Ma l’importante, ne parlavo adesso con dei colleghi messicani (e chi pensa che il fumetto qui sia poco sviluppato dovrebbe vedere il Messico, o anche l’Uruguay dove sono stato recentemente) è, secondo me, che mancano delle opere veramente importanti, quelle che per la loro bellezza e importanza creano o vanno a cercarsi i propri lettori.
Per intenderci Gipi è andato a trovare dei lettori, Maus ha creato lettori. Bisogna creare un’opera interessante per il lettore, che magari lo racconterà a un amico, che magari lo leggerà e se gli piacerà lo raccomanderà a qualcun altro. Deve funzionare in questo modo perché la cultura non è un bene necessario come il pane.
Ma il fumetto in Spagna socialmente come è visto? Riesce a superare quella diffidenza culturale che, per esempio, esiste ancora in Italia?
E’ un momento importante in Spagna, il fumetto sta conquistando uno spazio culturale molto grande. Per esempio è stato creato un premio nazionale in Spagna: lo stato dà un premio al miglior romanzo dell’anno, al miglior film, alla migliore opera di poesia, alla migliore opera di teatro e, dall’anno scorso, anche al miglior fumetto realizzato in Spagna. Questo è stato un riconoscimento molto importante, mettere il fumetto allo stesso livello delle altre opere di cultura. E’ stata una legge di tutto il parlamento, votata da tutti i partiti politici nella passata legislatura, che fu molto dura per il primo governo Zapatero. L’unica mozione approvata da tutti i gruppi parlamentari fu per l’istituzione di questo premio al fumetto.
Impensabile per l’Italia.
Fu molto importante perché di riflesso tutti i giornali ormai danno grande spazio al fumetto e anche le catene librarie come la Fnac. L’anno scorso la Casa del Libro (che è tipo la Feltrinelli in Italia) ha dedicato il supplemento su cui presenta le novità e una sezione delle sue librerie al romanzo grafico. Hanno selezionato trenta opere da tutto il mondo, tra le quali Modotti, e ne hanno vendute una montagna. La prima cosa che si incontrava entrando nel negozio era il romanzo grafico accompagnato dal volantino che ti invitava a leggerlo. E così, a poco a poco, in Spagna sono uscite tante buone opere, anche di autori spagnoli come Max (quello di Bardin il surrealista) che è stato il primo autore a vincere il premio nazionale.
In questo momento qual è l’autore più conosciuto in Spagna?
Storicamente l’autore più importante in questo momento è Carlos Jimenez di Los Professionales [premiato con la Menzione speciale per la valorizzazione del patrimonio fumettistico da LSB nel 2008, ndr].
Però per me il fumetto spagnolo più importante è Il segno di Gesso di Miguelanxo Prado [appena stampato da 001, ndr.]. Questo è il miglio fumetto fatto in Spagna secondo me. Prado ha avuto molti riconoscimenti e organizza anche un festival nella sua città, Coruna, che si chiama Vignette desde Atlantico. E’ un festival importante, con meravigliose esposizioni.
E questo mi fa venire in mente una critica che devo fare, qui. Non può essere che all’ingresso del museo nazionale del fumetto italiano, qui a Lucca, ti trovi Spider-Man. E poi entri e ci vedi solo soldatini e sagome dei personaggi. Questo è il fumetto italiano? Non c’è una sola pagina di fumetto in tutto il museo.
Paco Inacio Taibo II, il famoso scrittore spagnolo, anche lui un personaggio nel tuo Modotti, farà mai un fumetto con te?
Prado sta adattando un suo racconto per la collana Rivage Noir della Casterman.
E io sto preparando con calma una cosa tratta da un suo romanzo.
Mi ha incuriosito la figura di Paco ignazio Taibo II…
Perché siamo amici da una vita, abbiamo cominciato diversi progetti insieme e adesso credo che un suo racconto da me illustrato uscirà per la 001. Si chiama Il mio amico Moràn . E’ già stato pubblicato in Francia e adesso sarà pubblicato qui, dalla 001 appunto. Però non è un fumetto, è un libro illustrato. E poi sto preparando tre cose, non so cosa succederà più avanti. Una è questa. Anche perché volevo abbandonare il tema delle biografie, dopo che tutto il mondo, tutte le fondazioni della Spagna sono venute a chiedermi la biografia di non so quale donna. Ma io non faccio biografie, l’ho fatta di Tina Modotti perché era Tina Modotti. Ma non sono uno specialista di biografie…
Del tuo libro mi è piaciuta molto la struttura, perché è complicata: il libro si legge molto lentamente. Ma mi ha incuriosito anche la commistione fra biografia, finzione, l’inserimento del tuo personaggio e di Paco, le considerazioni che fate, i tuoi sogni, di Superman e Batman…
Ea necessario: ad esempio Superman e Batman rappresentavano i sogni del capitalismo. Quando il capitalismo sogna e non ha incubi (ma quasi sempre sono incubi) sogna Superman e Batman. Quello che io racconto è il sogno spezzato, distrutto, dello stalinismo. Tina Modotti era una stalinista vittima dello stalinismo stesso.
Il capitalismo è la stessa identica merda e io volevo raccontare anche questo. Perciò ho messo nella stanza di un albergo un Clark Kent e un Bruce Wayne che non centrano nulla, uno trozkista, l’altro stalinista. Un omaggio al fumetto dentro al fumetto e al suo linguaggio meraviglioso, ancora poco esplorato.
La struttura, in effetti, è stata la cosa più complicata della realizzazione di Modotti.
Ma la struttura l’hai pensata prima di fare il libro o ti è venuta conseguentemente?
No, io non sapevo cosa avrei fatto, né come lo avrei fatto, per questo ci ho messo molto tempo a farlo. Ed è stato molto complicato, ho dovuto tagliare molte cose che avrei voluto raccontare, altrimenti sarebbe stato un libro troppo grande. Però io credo che nella narrativa, sia il romanzo, sia il cinema, sia il fumetto si fanno seguendo una struttura ideale: Inizio, Intermedio e Fine. Credo che questo sia il passato perché credo che la struttura della narrazione sia la cosa più importante. Per esempio un film come Babel non è nulla se non una solida struttura. La stessa cosa si può dire dei romanzi di Roberto Bolaño o Paul Auster.
Un altro esempio è From Hell che è un gran libro proprio per la sua struttura molto ricercata. Del resto la storia di Jack lo squartatore è stata raccontata moltissime volte, ma mai con la complessità del libro di Moore e Campbell.
Chiudiamo una con una domanda breve. Questa è la quarta volta che vieni in Italia: cosa ti sorprende di più dell’editoria italiana?
L’Italia è un paese più colto della Spagna, le autostrade sono peggiori e più sporche, e mi sorprende il patrimonio culturale, le chiese…
In Spagna non è che siete messi male…
Ma non è la stessa cosa.
Io e Miguel Angel Martìn siamo stati insieme a Napoli, al Comicon, e parlavamo degli italiani, e dicevamo che questo era un paese più acculturato del nostro. Anche per questo ci sorprende lo stato del fumetto. Io sognavo l’Italia quando avevo undici anni e vivevo sotto Franco e leggevo di Lucca, che per me era un mito, e mi dicevo che non appena fossi diventato grande sarei venuto in Italia. E quindi, per me, è come il sogno di un bambino e quando sono venuto qui in questa città è stato magico, come un sogno appunto. Angouleme è più grande, ma a Lucca mi sento come un bambino piccolo che è arrivato al suo sogno…
Riferimenti:
Angel De La Calle sul sito di 001: www.001edizioni.com/modotti/
Dentro de la viñeta: dreamers.com/ddlv
[…] che parlavano la mia stessa lingua, esprimendosi su della pellicola. Ho scoperto che il fumettista Angel de la Calle ha pubblicato un libro sulla sua storia , e credo sarà il mio prossimo acquisto in […]
[…] La continuazione dell’intervista sul sito di Bilbolbul. […]