BilBolBul presenta: Audrey Spiry
Giovane illustratrice e fumettista francese, Audrey Spiry viene tradotta per la prima volta in italiano da Diabòlo Edizioni con In silenzio, presentato al Festival con una mostra.
Ciao Audrey e benvenuta. Come hai scelto di diventare illustratrice e autrice di fumetti?
Potrà sembrare bizzarro, ma non ho scelto di diventare autrice di fumetti o illustratrice, nel senso che non è stata una scelta cosciente. Ho l’impressione che si sia sviluppato pian piano, naturalmente.
Da bambina sognavo solo una cosa: diventare pittrice. E poi, poiché non è mai diventato il mio mezzo e la realtà di questa cosa ha iniziato a farmi paura, mi sono diretta verso le arti applicate, in particolare il design di oggetti. Paradossalmente ho continuato a dipingere a lato di questa attività fino a cercare con regolarità un corso per imparare. E poi ho scoperto i cortometraggi a cartoni animati di Toccafondo, Petrov, Miaihle e poi Jan Svankmajer e a quel punto ho cominciato a voler raccontare storie con movimento e pittura. Dopo aver studiato animazione a l’Emca d’Angoulême in Francia, non avevo più il desiderio di ritornare allo studio di animazione. Allora ho fatto un terzo anno alla scuola di belle arti per ricongiungermi con la pittura contemporanea. Però, ancora una volta, “l’onda mi ha gettata su un’altra spiaggia” e mi sono iniziata ad interessare al fumetto. L’illustrazione è venuta naturale come respirare, un secondo respiro dopo aver lavorato per due anni e mezzo a tempo pieno su In Silenzio. Questi sono tutti i campi nei quali non ho acquisito nessuna formazione e che amo tanto, a cui consacro il mio tempo. Mi sento libera e abitata da un perpetuo sentimento di scoperta.
In Silenzio è il tuo primo lavoro da fumettista. Come ha visto la luce e quali tavole hai deciso di esporre alla tua mostra a Bologna?
Stavo stagnando da molto tempo su un progetto di cortometraggio a cartoni animati, non riuscivo a trovare fondi per la sua realizzazione. Poi sono partita in vacanza, ho fatto un viaggio in canoa e al mio ritorno ho iniziato a scrivere una parte di storyboard. Rapidamente quel viaggio in vacanza è diventato il quadro ideale per raccontare la mia storia. E il fumetto è diventato il suo supporto. Ho inviato qualche tavola a vari editori: alcuni hanno mostrato interesse, altri sono stati più freddi, e alla fine la Casterman ha risposto molto velocemente, piena di motivazione e slancio.
Per l’esposizione ho scelto di mostrare l’altra faccia dello scenario e invitare gli spettatori nel mio studio. L’affresco che ho realizzato è un insieme di schizzi, un rebus delle mie tavole. Perché io lavoro così, ciò che mi interessa di più non è l’immagine finale ma come ci arrivo. Mi piace rimanere nel movimento, nel colore e nelle luci prima che donare una immagine alle cose. A fianco all’affresco ci sarà un video che condensa tutti i livelli del mio lavoro sotto forma di una animazione. Siccome lavoro in digitale, scolpendo le mie immagini come se stessi lavorando con la creta, è abbastanza facile conservare tutte le tappe del mio lavoro.
Quali sono le influenze che ti hanno ispirata come illustratrice e autrice di fumetti?
La maggior parte delle mie influenze sono di tipo pittorico: dall’arte africana a Matthew Barney passando per Vermeer, Kollwitz, Hodler, Rodin, Bacon, Lucian Freud, Néo Rauch, Peter Doig e tanti altri. Ma anche le coreografie di Akram Khan, di Jiri Kilian, le ceramiche di Kazunori Hamana, la musica di Philippe Glass e i film di Stanley Kubrik, questi sono tutti autori di riferimento che mi hanno permesso di crescere e formarmi.
Molto spazio nel programma del BBB è dedicato all’infanzia. In che modo ti sei approcciato al fumetto, e quale credi sia la formula più adatta per far avvicinare un bambino a questa forma espressiva?
Ho iniziato come molti con Tin Tin (i miei fratelli erano dei ferventi lettori). Il più grande shock della mia infanzia è stata un fumetto di Manare preso a caso dallo scaffale della biblioteca di uno dei mie zii. Evidentemente fu un’estasi! E io credo che al giorno d’oggi il fumetto sia ancora la forma migliore di parlare ai bambini: avendo fiducia in loro e lasciandoli scoprire libri di questo tipo, possono costruire sé stessi progressivamente e indipendentemente dalla volontà della famiglia.
Grazie Audrey e a presto.
Intervista realizzata via mail il 22 novembre 2016