Gli amari consigli di Nicolò Pellizzon
La cifra stilistica del giovane autore Nicolò Pellizzon (Verona, 1985) è estremamente riconoscibile. Nonostante la giovane età ha all’attivo un graphic novel, Lezioni di Anatomia, uscito per la GRRRZETIC nel 2012, e numerosissime collaborazioni. Ha pubblicato infatti sulle riviste Animals, Teiera, Shinigami e WATT. Dal 2011 lo troviamo anche nei volumi editi dal gruppo Delebile e dal collettivo G.I.U.D.A.. I legami con il mondo della musica non sono da sottovalutare: oltre ad aver collaborato con musicisti italiani e stranieri, suo è il manifesto del festival MI AMI 2012. Autore di fumetti, illustratore (ha esposto negli ultimi anni sia Italia che all’estero), si è anche occupato di grafica e videomaking. Un po’ di tutto insomma, come dice lui.
Non stupisce allora che, con Gli amari consigli, Pellizzon dia buona prova di maturità narrativa ed estetica.
Gli Amari consigli, uscito per la Bao Publishing lo scorso 17 ottobre, è stato incluso dalla casa editrice nella collana Le città Viste dall’Alto. Vale la pena spendere due parole sul progetto, che è nato nel 2013, per narrare “storie di luoghi, di persone, di vite che rimangano nel cuore di chi li ha negli occhi, che diano la sensazione di averli vissuti, conosciuti, visitati. Per questo il filo conduttore dei libri saranno le ambientazioni: città, paesi, luoghi realmente esistenti o comunque che sono parte del quotidiano dei personaggi e che diventano lentamente familiari, importanti anche per il lettore.”
L’intento della Bao risulta efficace nell’apertura a lavori altri, nuovi, freschi, di artisti giovani, con parecchie cose da dire e, soprattutto nel caso di Pellizzon, da dire in maniera piuttosto anticonvenzionale. A differenza di quello che accade in altri autori, come ad esempio Madrigal, in cui i luoghi della storia sono sempre reali e ben chiari al lettore, la scelta di Pellizzon mischia un po’ le carte. Infatti, dopo aver scelto Torino per il suo primo libro, con Gli amari consigli l’autore fa una scelta diversa: la città in cui la narrazione si ambienta non esiste. Pellizzon, non volendo legare la storia a un luogo in particolare, conferisce al luogo creato un valore emotivo aggiunto, trasformandolo un ambiente psichico e liminare. Familiare (riconosciamo parecchi scorci dell’alta Italia), ma allo stesso tempo spiazzante, sfuggente.
Questo approccio è estremamente coerente all’intreccio. Sara, la protagonista, è una giovane che tira avanti, tra un lavoretto e un altro, tormentata dai dubbi sul futuro e dalle delusioni passate. La sua passione per la letteratura e l’editoria, senza sbocco, l’ha portata ad arenarsi in un limbo emotivo e in una pozza di mancanza di volontà. A questa sfiducia, che la accomuna e la riconduce alla generazione dei tardo-ventenni e trentenni italiani – scelta molto pertinente dal punto di vista sociologico -, si unisce un tormento intimo costante nient’affatto comune.
Sara infatti, fin da bambina, vive in un mondo scisso: su quella che (sembra) la normalità, la realtà del quotidiano interviene, invadendola inaspettatamente, un immaginario apocalittico popolato da demoni, figure fantastiche e simbologie di natura complessa. L’autore dichiara, in un’intervista rilasciata per Fumettologica, che l’immaginario prevalente è composto da figure mitologiche di origine persiana, afferenti al vecchio testamento e alla magia olimpica. Un incontro interessante, soprattutto dal punto di vista estetico, di stimoli ed ispirazioni.
E la questione estetica è fondamentale in quest’opera. In primis, la centralità della figura femminile (la protagonista, la rivale, l’amica, la madre e, in generale, un’impressione incombente di matriarcato) porta con sé alcune riflessioni di carattere estetico. Il corpo femminile, in particolare il volto – gli occhi, molto grandi – e le mani, è ritratto con attenzione ed eleganza. A questo si lega un’estrema attenzione al dettaglio, al vestiario, ai pattern e, in generale, al design di un mondo prettamente femminile.
Piccoli dettagli “pop” e “rock” sono inoltre disseminati per tutta l’opera, in una matrioska di rimandi, citazioni e autocitazioni. La passione della protagonista per i B-movies horror è ad esempio una scelta vincente sia dal punto di vista estetico che narrativo, crea infatti un gancio efficace tra il mondo reale e quello delle visioni.
Per quanto riguarda la figura maschile, essa è ambivalente: compaiono solo due uomini, portatori di significati importanti, di diversa portata, funzionali alla narrazione ma sfuggenti dal punto di vista emotivo.
Le interazioni tra i personaggi sono accattivanti, ironiche, concrete e spesso eroticizzate. Ugualmente, le immagini forti ed evocative delle visioni, oltre a rimandare ad un immaginario fantastico, molto rimandano ad un erotismo schietto, provocatorio.
Dal punto di vista strettamente estetico, colpisce il tratto, particolare, personale, riconoscibile, molto sensuale. A causa della cifra stilistica che caratterizza l’autore, gli enormi occhi, gli zigomi pronunciati e un’emaciatezza diffusa, le figure femminili ahimè tendono ad assomigliarsi. La linea, è fluida ed elegante, sintetica ma precisa. La scelta dei colori in quest’opera incuriosisce, trattandosi infatti di un accostamento inusuale di colori quali fuxia (e gradazioni), giallo e nero. Colori alla moda, possiamo dire, così come il taglio di capelli della protagonista.
Sulla narrazione si può aggiungere poco, dal momento che il racconto, che tende alla diversione continua, a confondere le carte, a porre domande, non dà alcuna risposta. Si beffa infatti di noi, costringendo il lettore a riprendere la lettura e a tentare un approccio diverso, trasversale, al racconto. Intrigante.
AL FESTIVAL
VENERDI 21 NOVEMBRE
H14
interviene ALESSIO TRABACCHINI
DOMENICA 23 NOVEMBRE
H14
interviene ENRICO FORNAROLI