Il fumetto su internet e su carta di Sam Alden
Essendo stato, nell’ultimo paio di mesi, il contatto online di Sam Alden presso Delebile, la piccola etichetta indipendente della quale faccio parte, mi fa una certa impressione raggiungere il giovanotto allampanato che si aggira intorno al Terminal 1 di Malpensa con l’aria stravolta di chi ha appena attraversato l’oceano, cercando di tirargli via dalle mani, come la cortesia dell’ospite impone, una valigia che contiene più opere da esporre che vestiti da indossare, e rivolgergli un saluto senza la barriera dello schermo a nascondere il balbettio e l’incertezza di una lingua che fino a dieci minuti prima ero convinto di conoscere alla perfezione.
Una simile scena da road-movie di bassa lega va però contestualizzata, e per farlo occorre compiere un passo all’indietro: Sam Alden – Portland, Oregon, classe 1988 – è un artista che negli ultimi anni, principalmente attraverso il web, sta guadagnandosi il suo posto al sole nel panorama del fumetto indipendente americano…pubblica sketch e storie brevi attraverso i suoi blog e tumblr (Gingerland) , disegna insieme al fratello webcomics dall’umorismo non-sense (Dubblebaby), porta avanti un progetto di ampio respiro e, a differenza degli innumerevoli giovani aspiranti fumettisti che giurano di averne uno pronto, in attesa dell’editore giusto, nel cassetto della scrivania, lo pubblica regolarmente su www.eighthgra.de.
È attraverso il suo lavoro su Study Group Comics, un’ulteriore piattaforma web che raccoglie i lavori di numerosi giovani artisti statunitensi e sulla quale Sam porta avanti l’ennesimo progetto, che qualche mese fa il suo lavoro ci capita sotto gli occhi, proprio mentre stiamo gettando lo sguardo al di là del territorio nazionale in cerca di autori che vorremmo inserire all’interno del quarto volume della nostra antologia.
Nella sua storia The Boat, in sole due pagine Sam accosta una sapiente cura del tratto a un’attenzione per la narrazione e un’efficacissima sintesi che ci cattura immediatamente, e contattarlo per chiedergli di poterla tradurre e pubblicare è l’ovvio passo successivo, mentre il progetto del quale già si parla da un po’ all’interno di Delebile, quello di accostare alle raccolte antologiche una collana di opere monografiche, comincia a trovare un primo, papabile candidato.
È il Festival BilBOlbul 2013 che ci ha permesso di concretizzare questa opportunità, dandoci modo di offrire al lavoro di Sam la visibilità che riteniamo meriti.
È per questo che Delebile lo ha invitato in Italia in occasione della settima edizione del Festival, organizzando insieme a lui la pubblicazione di due inedite opere monografiche (Il rompicapo del contadino e Il troll dei vermi) e accostandovi presso gli spazi di Elastico una mostra delle tavole originali, insieme a numerosi estratti di diversi altri lavori, nei quali Sam si sposta agevolmente dall’elaborato tratto a pennello, alla linea chiara, ai luminosi acquerelli di un introvabile set risalente agli anni ’70 e gelosamente conservato fino ad oggi.
Quello che c’è da sapere su Sam, in maniera piuttosto prevedibile data la sua ben più che attiva produzione sul web, è sparso qui e lì su internet, su numerosi portali e interviste, e domandargli tutto dacapo sarebbe di certo una perdita di tempo: sappiamo che vuole fare il fumettista sin dall’asilo, e che ha cominciato a disegnare fumetti senza ancora saper scrivere, costringendo i genitori a riempire i balloon per lui.
Sappiamo che si è diplomato presso il Withman College di Walla Walla per poi passare l’estate successiva in Alaska, frequentando un programma di studio per giovani creativi.
Conosciamo i suoi gusti e le opere che lo hanno formato, sappiamo che ha alle spalle esperienze professionali come art director e illustratore, che ha appena lasciato casa dei suoi per trasferirsi in un appartamento tutto per lui, e che in un giorno buono disegna anche quattordici, quindici ore filate.
D’altra parte, dopo averlo trascinato in Italia, chiedergli almeno quale sia la sua visione del progetto nel quale si è imbarcato insieme a Delebile è il minimo…avendo fallito nel tentativo di farlo durante il tragitto in auto da Milano a Bologna, cercando di salvarlo dal jet-lag e di tenerlo sveglio quel tanto che basta perché possa imbroccare il giusto ciclo sonno-veglia, rimangono i due giorni successivi, che lo separano dall’inaugurazione della sua mostra, per fare due chiacchiere con lui in un momento di pausa nella frenesia dell’allestimento dello spazio messo a disposizione da Elisa.
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Allora, Sam…immagino che la proposta di partecipare come ospite ad un festival oltreoceano possa suonare strana da sentirsi rivolgere: qual è il tuo punto di vista su questa collaborazione? Che aspettative hai a riguardo, nell’immediato e, magari, nel relativo futuro?
Come autore, non si può che essere lusingati ed entusiasti di fronte ad una possibilità del genere, ma strano lo è stato di sicuro, soprattutto perché una simile proposta mi è giunta completamente nuova. Negli Stati Uniti conosco diverse persone che seguono e apprezzano il mio lavoro, ma una situazione del genere non mi era mai capitata: nessuno mi aveva mai chiesto prima di pubblicare un libro, insomma.
Dall’Italia, invece, ho invece ricevuto nello stesso periodo diversi feedback molto positivi. Oltre a Delebile, infatti, ho collaborato con Retina, che ha tradotto e diffuso in forma digitale due dei miei racconti brevi (Garden Spectre e Big Feminist).
Devo dire che ho passato un po’ di tempo cercando di capirne il motivo, e credo sia perchè lo stile che ho sviluppato è per certi versi piuttosto “classico”, molto da “Art School”, e immagino che questo soddisfi un certo tipo di gusto.
Ecco, non so se si può parlare di aspettativa, ma se c’è una cosa che immagino si rifletterà sui miei lavori futuri è il fatto che questo progetto mi ha aiutato a ragionare sul mio lavoro rispetto a una terza persona: come dicevo prima, Delebile e Retina hanno mostrato interesse per un certo tipo di fumetto, sia dal punto di vista tematico che stilistico. Una volta ricevuta carta bianca per Il troll dei vermi, mi sono fermato ad analizzare quali fossero i gusti del “committente”, prima di decidere definitivamente quale strada imboccare.
È stato un esercizio piuttosto utile, che sicuramente ripeterò in futuro.
E, ovviamente, sono entusiasta di avere intorno un simile Festival, delle possibilità che offre e di tutti i fumettisti che potrò incontrare.
Che mi dici, invece, del punto di vista tecnico di questa collaborazione? Si è trattato di coordinare la pubblicazione di due libri, di cui un totale inedito, da un continente all’altro, senza contare la barriera della lingua. Come hai vissuto la cosa?
Lavorando parecchio, innanzitutto: per completare Il troll dei vermi in tempo ho passato qualcosa come tre notti in bianco, una in fila all’altra.
Vedi, non c’è stato nessuno, finora, che abbia pubblicato i miei racconti.
A parte quelli che ho stampato personalmente, intendo.
Che mi venisse lasciato da gestire il solo disegno e che qualcuno si occupasse al posto mio degli altri aspetti della creazione del libro è stata un’esperienza nuova, per molti versi liberatoria: molto spesso, una volta prodotto qualcosa, mi sono scontrato con la questione denaro una volta deciso di portarlo su carta. Che non fossi io a sostenere le spese, con un valore di produzione molto più alto di quello che sarei stato in grado di gestire da solo, mi ha lasciato la possibilità di sperimentare: una copertina a colori, ad esempio, è una di quelle cose che non mi sarei mai potuto permettere, e avere qualcuno che provvedesse alla stampa al posto mio mi ha permesso di chiedermi come mi sarebbe piaciuto realizzarla avendone la possibilità, e così ho finito per tirare fuori gli acquerelli.
Anche quelle che sono a tutti gli effetti delle limitazioni editoriali, avendo la possibilità di ragionarci su in piena libertà, finiscono per diventare un elemento di forza: il lavoro svolto per le copertine serigrafate delle edizioni limitate de Il rompicapo del contadino e Il troll dei vermi, ad esempio, o il formato quadrato di quest’ultimo per il quale ho elaborato una gabbia, inscritta all’interno di una forma circolare, della quale sono molto soddisfatto.
Oggi si parla molto di frenesia da graphic-novel. È quello che si deve produrre, se si vuole essere pubblicati, mentre il racconto breve scompare dalle librerie e migra in direzione delle fanzine e delle autoproduzioni. Come vivi tu questo fenomeno? Seguendo la tua produzione, si può notare che ti muovi abbastanza agevolmente tra le varie forme che il fumetto può assumere, passando dalle strip ai racconti brevi, fino ad arrivare a Eighth Grade, una sorta di “opera magna” tuttora in fase di produzione, ed è abbastanza naturale chiederti se hai finito per preferirne una rispetto alle altre.
Beh, lavorando non solo su Eighth Grade ma anche su Haunter, che su Study Group sta ormai per raggiungere le duecento pagine, posso dire che quella “frenesia da graphic novel” di cui parli, sempre che l’abbia attraversata, ho avuto modo di sfogarla.
D’altra parte, il racconto breve è, per certi versi, “più pulito”…se c’è qualcosa di cui vuoi parlare, ti permette di farlo senza troppi fronzoli e senza girarci troppo attorno, ed è un progetto nel quale, vedendone chiaramente lo sviluppo e la fine, si rischia molto meno di impantanarsi. Un altro aspetto che apprezzo molto è legato soprattutto al fatto che la maggior parte di quello che produco viene diffuso via internet: sappiamo tutti qual è il tipico utilizzo del web, perché capita a tutti di spulciare un sito, leggere qualcosa, passare velocemente oltre…credo che poter fruire l’intero fumetto in un colpo solo sia qualcosa un fattore importante, che il pubblico certamente apprezza.
L’ultima domanda riguarda una delle attività nella quale il BilBOlbul ti ha coinvolto, vale a dire gli incontri con le scuole. Incontrerai ragazzi delle scuole medie, superiori e inferiori, per parlare del tuo lavoro. Ancora una volta, finire a parlare di Eighth Grade, i cui protagonisti sono adolescenti in procinto di cominciare il liceo, è una sorta di passo obbligato: come pensi che dei ragazzi di quell’età, per di più appartenenti ad una realtà sociale e culturale piuttosto diversa da quella di cui parli data la lontananza tra Italia e Stati Uniti, possano rispondere al tuo lavoro? Ti aspetti una reazione di rifiuto o incomprensione di chi vede qualcuno ben più grande di lui che cerca di spiegargli com’è veramente l’adolescenza, o magari una reazione più aperta? In generale, cosa pensi di dire loro?
Oh, a dire la verità, sono piuttosto terrorizzato. Parlare in pubblico del mio lavoro è una cosa alla quale non sono abituato. Confrontarmi con dei ragazzi poi, durante un Festival in Italia, beh, non fa altro che peggiorare la situazione.
Ma penso che Eighth Grade sia un fumetto che dei quattordicenni possano capire benissimo, anche se quando ho cominciato a lavorarci avevo diciannove anni e avevo superato già da un po’ la loro età…ricordo benissimo quel periodo, e accanto al disagio, c’era anche una sorta di onnipresente auto-consapevolezza, per quanto la utilizzassi più che altro per riflettere troppo su questioni che oggi riguardo sotto una luce completamente diversa: anche io, come uno dei miei personaggi, andavo pontificando che un ragazzino delle medie fosse ancora troppo giovane per innamorarsi, quando, col senno di poi era ovvio che anch’io fossi innamorato perso della ragazza per la quale avevo una cotta.
Penso che sia quello stesso tipo di auto-consapevolezza a rendere Eighth Grade un fumetto i cui protagonisti possono parlare a dei lettori loro coetanei, oltre che a chi si guarda indietro con un certo, malcelato imbarazzo…si tratta di pensieri e situazioni attraverso i quali passano tutti, ed essere -ancora?-ragazzi delle medie non impedisce di riconoscersi in essi.
Immagino non sia un caso che Eight Grade sia il fumetto dal quale ricevo più feedback da parte di lettori molto giovani: quello che mi ha colpito di più è stato di sicuro il commento di una sedicenne che lo accostava a Il giovane Holden, e benché non sia poi chissà che grande fan, non posso fare a meno di sentirmi lusingato da un commento del genere, sapendo cosa significa leggere quel libro a quell‘età.
Del resto, ho sempre pensato che i migliori libri, il tipo di libri e, più in generale di storie, di cui vorrei essere l’autore, siano quelli sui quali si può, certamente, scrivere una tesi, ma dei quali un quattordicenne può scoprire l’esistenza ed innamorarsi per tutta la vita, in quella maniera che solo un ragazzo di quell’età può sperimentare.