Ottocento come noi: Gianfranco Manfredi e Volto Nascosto

Ottocento come noi: Gianfranco Manfredi e Volto Nascosto

LoSpazioBianco.it nel 2007  nella quale Manfredi presenta la sua miniserie Volto Nascosto poco prima della pubblicazione del primo numero.

In occasione dell’incontro Ottocento come noi con Bryan Talbot e Gianfranco Manfredi, che si terrà sabato 7 marzo alle ore 17.00, riproponiamo su queste pagine un’intervista comparsa su

 

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Sono passati ben 10 anni dall’esordio di Magico Vento. Si avvicina per te un nuovo battesimo in casa Bonelli. Che emozioni e significato ha per un autore esperto e poliedrico come te?
E’ molto importante per un autore sfornare periodicamente qualcosa di nuovo, non nel senso di un nuovo racconto sul solco dei precedenti, ma proprio qualcosa di Nuovo, cioè di diverso e di autonomo dalle cose precedenti. L’esperienza che si vive ha qualcosa di teatrale. Si può recitare per anni Pirandello e poi sentire il bisogno di affrontare il testo di un autore totalmente diverso che ci costringe a cambiare modo di recitare e di rappresentare. Un debutto così emoziona molto perché è una nuova verifica di fronte al pubblico.

Cosa aggiungerà Volto Nascosto (VN) alle già numerose proposte Bonelli?
Una storia italiana, un racconto impostato su più protagonisti invece che su un unico eroe e anche un format totalmente diverso da quelli finora sperimentati: un romanzo compiuto narrato per episodi, ma di tali dimensioni da non poter essere pubblicato in un unico volume. Insomma qualcosa di diverso sia dalla mini serie che dalla tradizionale graphic novel e inoltre molto diverso anche dal normale fumetto seriale, perché nel seriale il protagonista non può morire, mentre nel mio feuilleton a fumetti in teoria possono anche morire tutti e questo aumenta la suspense per il lettore.

VN sarà un grande affresco ambientato tra Roma e l’Etiopia alla fine dell’800. Dal punto di vista narrativo, quali occasioni offre questo periodo storico?
Estremamente varie. Il filone principale è costituito dal racconto epico. Si racconta la campagna militare, gli scontri piccoli e grandi, gli eroismi e le vigliaccherie, le imprese valorose e le stragi feroci, nell’uno e nell’altro campo. Cioè la guerra. Ma si racconta anche una storia di amicizia e di amore, in cui i sentimenti vivono come passioni divoranti e possono condurre a infinite delusioni, tradimenti, profonde ferite nel corpo e nella mente, e persino delitti. Cioè tutto quel mondo privato eccessivo, molto emotivo, che è parte della tradizione del romanzo ottocentesco, soprattutto quello più romanticamente cupo, e del melodramma italiano. D’altro canto entrambi questi riferimenti sono rigenerati in uno stile di racconto molto moderno, almeno è quanto mi sono sforzato di fare.

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Hai già anticipato che VN vuole avere un taglio romanzesco. Romanzo, romanzesco, scrittura… cinema, cinematografico, visivo: dove si colloca esattamente? Che tipo di ricerca espressiva hai sperimentato, insieme ai tuoi disegnatori?
Il fumetto è una fusione abbastanza complessa di elementi che provengono da altri modi di scrittura. Sia la letteratura che il cinema hanno avuto una profonda influenza sulla nascita e sullo sviluppo del fumetto come racconto. “Esattamente” non si colloca affatto: è questo che fa del fumetto (non del mio, del fumetto in generale) qualcosa di davvero unico come forma espressiva. Per me è stato importante aggiungere qualcosa che veniva anche dalla mia esperienza di cantante e musicista, che mi ha molto insegnato sul piano della sintesi espressiva (senza smarrire l’emotività) e dal teatro, che comporta saper far parlare e muovere i personaggi e la narrazione anche in una situazione statica. In molti fumetti ci sono scene di dialogo che si prolungano per molte pagine, con i protagonisti seduti, battute talmente lunghe da gonfiare a dismisura i balloon o botta e risposta incolonnati in balloon impilati sulle teste con un effetto grafico orribile e spazio rubato ai disegni o con disegni troppo spesso inespressivi o ripetitivi. Le scene statiche e di dialogo invece vanno sceneggiate come un copione teatrale quando dal testo si passa alla rappresentazione. L’ambiente e il movimento, le entrate e le uscite, le sfumature dell’interpretazione, devono diventare protagonisti, altrimenti tutto marcisce in una fissità terribilmente soporifera.

Quali elementi tecnici permettono di ripercorrere nel fumetto uno stile romanzesco?
Non c’è altro che l’esperienza. La tecnica non è quella dell’universo tecnologico, ma quella degli artigiani. Non si costruisce una macchina che poi fa i mobili, ma si costruisce direttamente il mobile, a mano, ereditando modi operativi dalla “bottega” e dalla tradizione, ma cercando sempre di esprimere un tocco personale. E soprattutto badando a non fare errori. Una volta Nanni Loy mi disse che il mestiere del regista consiste in questo: cercare di fare meno errori possibile. Il che significa anche che gli errori sono davvero fondamentali per la maturazione di un artista/artigiano.

vol_09Hai in mente esempi di altri lavori a fumetti che potrebbero accostarsi a VN?Un lavoro dal taglio storico e romanzesco è per esempio l’ottimo Berlin dell’americano Jason Lutes, che narra le vicende della Repubblica di Weimer a cavallo tra le due Guerre Mondiali. Lo conosci?
No, non l’ho letto, grazie per la dritta. Il fumetto francese ha prodotto diversi feuilleton a fumetti, con un inizio e una fine, come ad esempio il romanzo storico a fumetti di Sambre (tradotto in italiano da Daniele Brolli) sui moti rivoluzionari del 1848. Ogni episodio è uscito come capitolo di un’unica narrazione. Il problema di questi feuilleton a fumetti francesi è che la cadenza delle uscite è così dilatata che in certi casi bisogna attendere due anni o più per vedere compiuta una storia tutto sommato breve per numero di pagine. Il formato bonelliano e le uscite mensili consentono invece di poter raccontare di più e in un tempo più serrato.

In termini di ritmo, di equilibrio tra azione e introspezione (sto semplificando, lo so), VN sarà simile a MV o hai cercato altre modalità, altre strade?
Ho dovuto per forza cercare altre strade perché la scansione del racconto è diversa. Ogni episodio ha una sua compattezza in modo che il lettore anche occasionale possa seguirlo senza necessariamente aver letto quelli precedenti, ma spero sia anche abbastanza stimolato da procurarseli. Se c’è un modello è quello di certe serie televisive lunghe (ma non infinite) in cui si devono bilanciare questi due elementi: dare una certa autonomia alla singola puntata, ma sempre nel contesto di una storia complessiva e in sviluppo. Di MV non avrei mai potuto scrivere un trattamento completo della serie, perché la fine non era prevista e nemmeno gli sviluppi, mentre con VN ho potuto buttare giù in modo abbastanza dettagliato l’intera vicenda e poi passare a sceneggiare i singoli episodi.

Rimanendo sempre in ambito tecnico, che tipo di costruzione della narrazione hai scelto nel suo complesso? Mi riferisco al cosiddetto story-telling: ritmo delle vignette, inquadrature, suddivisione delle tavole (griglia), compressione/decompressione delle vicende, ecc. Hai cercato un approccio tutto sommato tradizionale o innovativo?
A me piace il modulo tradizionale bonelliano perché consente a uno scrittore di storie di raccontare meglio. E’ bene che il lettore non venga distratto costantemente dal racconto per cercare di capire quale vignetta, sulla tavola, venga prima e quale dopo, nell’ordine di lettura. Gli sperimentalismi grafici vanno bene per un altro genere di fumetto, per l’underground, per il fumetto psichedelico, per quello tipico della “graphic art”, ma il fumetto come racconto popolare per immagini deve avere una disposizione semplice della tavola, in modo che la griglia passi quasi inosservata e ci si possa invece godere comodamente la lettura. Certo in un fumetto epico è necessario dare più aria: ci sono paesaggi esotici, scenografie imponenti, battaglie di massa, e questo richiede più spazio, sulla pagina, di un fumetto a striscia. Da questo punto di vista a me disturbano certi fumetti francesi che accumulano troppe vignette in una pagina e anche con colorazioni contrapposte, per esempio nei bruschi passaggi notte e giorno sulla stessa tavola. Credo che ogni tavola debba avere una sua attrattiva estetica in quanto tavola, e che la smarrisca se è una mera summa di vignette. D’altro canto mi disturbano anche quei fumetti che per accentuare costantemente l’effetto scenografico piazzano solo una media di tre o quattro vignette per pagina, persino mute. Il risultato è che si continua a sfogliare, che non si dà ritmo alla lettura e a volte si asseconda anche la pigrizia del narratore, che racconta in tre pagine quello che si può più efficacemente raccontare in una pagina sola. Alla fine uno ha sfogliato un centinaio di pagine e si chiede: tante pagine per raccontare così poco? Del resto questo è un vizio che ha infettato anche la letteratura. Certi romanzi fiume di Stephen King che sarebbero stati dei capolavori se scritti nella misura di un racconto, diventano degli insopportabili polpettoni se dilatati su centinaia di pagine. L’orrore soprattutto ha bisogno di sintesi, come hanno insegnato Poe e Lovecraft. Ma il costume editoriale americano odierno vuole che lo scrittore sia pagato per pagina, in certi casi persino per numero di parole. Questo determina che per descrivere una situazione semplicissima, si usano dieci parole quando ne basterebbero cinque. Uno scrittore di sintesi guadagna meno di uno sbrodolone. Anche nei fumetti si viene pagati a pagina. Dunque se aumenti le sequenze, se ci metti più vignette doppie o quadruple, se scrivi lunghi dialoghi riassuntivi di quanto già avvenuto che non ti costano nessuna fatica e nessuno sforzo di fantasia, paradossalmente guadagni di più che se ti sforzi di raccontare con la necessaria sintesi ed efficacia. Se i Beatles fossero stati pagati a minuto, ogni loro canzone sarebbe diventata una sinfonia. Il pubblico ci avrebbe guadagnato? No, ci avrebbe perso. La comunicazione contemporanea vive di sintesi.

Goran Parlov, già tuo prezioso collaboratore su Magico Vento, ha realizzato gli studi preparatori dei personaggi. Che tipo di ricerche hai fatto per aiutarlo e per aiutare tutti i disegnatori? Immagino che sia stato necessario un grosso apparato iconografico e visivo per rendere realistico, credibile e al tempo stesso efficace e affascinante il contesto in cui si muovono le vicende. Sbaglio?
Io faccio sempre un gran lavoro di documentazione,anche visiva. Non solo per aiutare il disegnatore, ma per aiutare me stesso. Il cinema (il cinema come si faceva trent’anni fa) mi ha insegnato che se uno sceneggiatore accompagna il regista durante la scelta delle location, poi lavora molto meglio. Se vedi un posto ci puoi ambientare più agevolmente le azioni. Se non lo vedi, poi può accadere che quello che hai scelto di raccontare non si adatta al posto e diventa poco credibile o goffo. Quando si racconta per immagini, prima bisogna vedere, poi raccontare.

volto_nascosto_2Che impatto visivo hai chiesto a Rotundo per la realizzazione delle copertine? Avevi in mente qualche copertinista di riferimento? O qualche atmosfera particolare?
Avevo in mente i manifesti dei film epici, tipo Lawrence d’Arabia, che hanno una tradizione iconografica molto precisa, costruita sulla giustapposizione dei “faccioni” degli eroi a scene di massa in campo lungo. Mi piace questa violenta contrapposizione che tende a escludere i piani medi o l’inquadratura ad altezza uomo.

Hai già terminato le sceneggiature complete di tutti i 14 numeri? I disegni in che stato di avanzamento sono? Stanno rispondendo alle tue aspettative? Sta prendendo vita come desideravi?
Per quanto mi riguarda ho finito. I disegnatori sono ancora al lavoro, anche se diversi episodi sono stati completati. Hanno fatto un lavoro davvero eccezionale, consapevoli che questa serie era un’occasione rara per loro: qui infatti il disegno è protagonista. La cosa più difficile per loro credo sia stata far recitare i personaggi. Al contrario di quanto si ritiene, un paesaggista ha lavoro più facile di un ritrattista. Un primo piano espressivo, che non sia troppo neutro, ma che non esageri nemmeno in smorfie, è una delle cose più difficili da fare in fumetto.

Infine, una domanda necessaria. Con VN ti imbarchi in un’impresa narrativa piuttosto rara: raccontare la storia del nostro paese, pur se a cavallo con l’Africa coloniale. I personaggi sono per lo più italiani, il contesto socio-politico è quello italiano… è così difficile raccontare la nostra Italia, nel presente come nel passato? Perchè è così raro nel fumetto e nella narrativa di genere? Cos’è che spaventa gli autori italiani da questo punto di vista, secondo te?

L’Italia è un paese pieno di storia e di rovine. Storia e Rovine in Italia sono la stessa cosa. E le Rovine tendiamo da sempre a lasciarle in rovina. Ci circondano talmente da passare inosservate ai nostri occhi. Dal dopoguerra le Rovine hanno cambiato significato perché erano rovine di bombardamenti e dunque da cancellare e da Ricostruire. Lentamente le Rovine antiche sono state sommerse da brutture di cemento che sembrano indistruttibili: ci vogliono anni perché si decida di buttarne giù una. Simbolicamente questo significa che consideriamo sacro e immutabile ciò che la nostra contemporaneità globalizzata ha prodotto e produce in serie, per esigenze di mera convenienza (“la casa-merce”), mentre consideriamo il passato, con le sue maestose ed inquietanti rovine, una sorta di ingombro al traffico. Si è dedicata più attenzione, quest’anno, alla celebrazione del 1977 che a quella di Giuseppe Garibaldi. A voi sembra normale? A me che il 77 l’ho vissuto con grande intensità, pare proprio di no. Sorge il sospetto che oggi sia più rivoluzionario ricordare Garibaldi che i cosiddetti anni di piombo.

 

 

OTTOCENTO COME NOI

INCONTRO CON BRYAN TALBOT E GIANFRANCO MANFREDI

BIBLIOTECA SALA BORSA AUDITORIUM

SABATO  7 MARZO  ORE  17.00

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