Incontro con Lorenzo Mattotti
Venerdi 5 marzo, Maura Pozzati modera l’incontro con Lorenzo Mattotti in un’affolata sala della Libreria Ambasciatori, con spettatori stipati anche sulle scale o affacciati dal secondo piano. Si parte dal tema del paesaggio, ovvero quello della mostra presente al Bilbolbul, per scoprire la vena romantica e la visione interiore racchiusa nei suoi quadri. È un Mattotti che non nasconde una certa emozione, e che cita le sue ispirazioni, da Bellini a Friedrich, dai pittori russi conosciuti come “gli itineranti”, dei quali ama la precisione quasi neoralista, la loro capacità contemplativa, ai paesaggisti americani, come Kent e Hopper. Anche nel fare fumetti per l’autore il paesaggio era un obbligo, un personaggio a tutti gli effetti attraverso cui raccontare storie.
Il discorso si sposta sull’uso catalizzante del colore, sulla sua sinestesia (citando Baudelaire) e sulla sua “musicalità”. Il colore nel paesaggio è stato uno strumento per Mattotti, ad esempio in Fuochi; il colore riportato nei suoi dipinti non è però quello reale, perché quello che l’autore vede non è quello che prova: il suo utilizzo è veicolato al trasportare un’emozione, nasce dalla ricerca di una sensazione, non dalla visione del vero.
La riflessione si sposta sulla contrapposizione tra la visione dei paesaggi di Mattotti rispetto a Morandi, dove lo squardo verso il paesaggio sembra colto attraverso una finestra, dove niente si muove tranne il tempo, le stagioni, e il disegnarlo significa congelare un attimo, bloccarne gli elementi fondametali. Mattotti invece cerca di dipingere un paesaggio in movimento, di mostrare il viaggio dell’occhio attraverso il panorama, le forme, sugli spazi, le curve. Uno spazio in movimento, il movimento dello sguardo. Il pastello e le matite portano verso il fissare, stratificare il tempo. Il pennello o il b/n permettono di costruite lo spazio in maniera fluida.
La tela all’inizio incuteva una certa paura in Mattotti, ragione per cui all’inizio disegnava su fogli grandi, tanto che per superare la sacralità della tela ne ha cercata comprato una in rotoli, così da averne tanta. All’inizio la tecnica era scoperta autonoma, ma alla fine ha sentito la necessita di fare il salto, di usare la tavolozza, una tecnica reale. Un momento di felicità che gli ha fatto superare definitivamente la paura.